I precursori del bomberismo: capitolo terzo, LUIGI MERONI

<<Era un simbolo di estri bizzarri e libertà sociali in un paese di quasi tutti conformisti sornioni>> (Gianni Brera)

Gigi Meroni, il calciatore “beat” degli anni Sessanta, il capellone dal dribbling ubriacante che ascoltava il jazz e i Beatles, l’artista che, prima di fare il giocatore, disegnava cravatte di seta. Anche lui per i suoi modi anticonformisti e per la sua vita, breve ma intensa, può essere annoverato tra i precursori del bomberismo.

Ala destra col numero 7, dopo una brevissima esperienza nella squadra dell’oratorio di San Bartolomeo (la Libertas), passò al Como. Nell’estate del ’62 venne ceduto al Genoa. Sotto l’ombra della Lanterna ebbe momenti di grande notorietà fino all’ultima giornata di campionato: Meroni rifiutò di sottoporsi al test dell’antidoping affermando di aver dimenticato il contenitore con le sue urine in albergo. Tre compagni di squadra risultarono positivi alle anfetamine e pure Meroni ottenne una squalifica nelle prime 5 giornate della stagione del 1963.
La stagione seguente, nonostante Gigi fosse già diventato un beniamino dei tifosi del Grifone, passò al Torino di Nereo Rocco per la cifra record di 300 milioni di lire. Tantissimo per un 21enne.

Con i granata la sua consacrazione definitiva. Meroni venne soprannominato “la Farfalla” con allusione al suo stile di gioco, i movimenti sinuosi e anche per la sua vita da anticonformista: infatti era nota all’epoca la sua convivenza con una donna separata, Cristiana Understandt. I due convivevano nella “mansarda di Piazza Vittorio”. Gigino si era follemente innamorato di Cristiana definita la “bella tra le belle” e tentò addirittura di interrompere la cerimonia di matrimonio imposto dalla famiglia di lei con un altro. Non ci riuscì, ma questo non fermò il loro amore.
In campo, il capellone con i basettoni, soprannominato per questo anche “Calimero” (lui non ha mai apprezzato), formò con Nestor Combin una coppia di attacco che fece sognare i tifosi granata. Meroni non amava tirare i rigori, viveva di azioni, preferiva l’agonismo alla palla ferma. Con un suo formidabile gol (slalom tra gli avversari e pallonetto dal limite dell’area all’incrocio), spezzò l’imbattibilità della Grande Inter di Herrera.

A lui si interessò a più riprese l’avvocato Agnelli che amava “i suoi dribbling disegnati su tela dalla mano di un genio” (un’altra delle passioni di Meroni era proprio l’arte, era solito disegnarsi i vestiti che poi indossava). Pare che Agnelli manifestò il suo dispiacere al vicepresidente juventino Giordanetti per non aver formulato un’offerta per il giovane genietto del Genoa. Giordanetti rispose all’Avvocato che allora il bilancio della borsa bianconera non permetteva investimenti massicci. Così Gianni Agnelli per vedere le giocate del suo artista preferito dovette assistere alle partite del Torino più di quanto fosse nelle sue intenzioni.

In nazionale nonostante un rapporto turbolento con il c.t. Edmondo Fabbri che gli impose di tagliarsi i capelli, partecipò ad un Mondiale, quello della “tragedia sportiva” in Inghilterra nel ’66. La spedizione è ricordata ancora oggi come la peggiore di sempre: culminò con la sconfitta contro la Corea del Nord del leggendario dentista Pak Doo Ik. Ma Meroni quella partita non la giocò.

Tra le genialate di questo bomber degli anni Sessanta ci sono i giri per Como con una gallina al guinzaglio, i travestimenti da giornalista per chiedere alla gente “cosa pensi di Meroni?” e le risate se la risposta è “non lo conosco” e un teschio sul comodino vicino al letto.

La sera del 15 ottobre 1967, lui e il suo compagno Poletti vennero investiti da un diciannovenne tifoso sfegatato del Torino: Attilio Romero, che il destino vorrà presidente del Torino nel 2000. L’impatto con la Fiat 124 Coupé del giovane neopatentato fu letale anche per una “Farfalla”. Meroni morì quella sera stessa.
Il giorno dopo il suo funerale (la Diocesi di Torino si oppose al rito religioso per un “peccatore pubblico”, convivente di una donna separata), il Torino affrontò la Juventus nel Derby della Mole. Il suo ex compagno di reparto Combin, nonostante i 39° di febbre, lottò come un leone e firmò una tripletta. Il quarto gol della vittoria più rotonda del Torino fino ad oggi, lo firmò Alberto Carelli con il 7 sulle spalle. I tifosi granata credono che l’epilogo sia stato l’ennesimo disegno di Meroni, stavolta da lassù.

Admin Riccardo

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