“Il talento non si può fermare. Quando Messi è in forma non c’è maniera di arrestarlo. Non c’è difesa che lo possa controllare, è impossibile”. Così parlava Pep Guardiola alla vigilia di Barcellona-Bayern proprio poche ore prima dello show dell’argentino contro il suo undici. Pep conosce bene Leo. Lo ha plasmato, gli ha dato una nuova identità, gli ha messo al servizio la squadra. Messi lo ha ripagato con gol e trofei ma non ha avuto pietà quando i due si sono incrociati da avversari.
L’individuo trionfa sul collettivo? E’ il classico dibattito che appassiona milioni di calciofili. Dai tempi di Pelé, fino a Maradona e oggi a Messi la discussione non si è mai arenata. Quando il più forte del mondo è ispirato e al 100% della forma fisica può essere fermato o in qualche modo limitato con un’ottima organizzazione di squadra?
Domani sera avremo forse una risposta. E non parliamo solo di Messi, chiaramente il migliore del lotto. Anche di Neymar, Suarez e ovviamente Iniesta. Giocatori sensazionali, in grado da soli di cambiare le sorti di una partita.
Arrigo Sacchi, uno dei maestri del calcio mondiale, è convinto: la squadra ha sempre la meglio se ben organizzata, se si muove bene tra reparti, gioca in 30 metri ma lontana dalla propria area di rigore. In pratica se si difende ma non schierando il classico pullman davanti alla porta. Ma le partite sono lunghe, lo sanno i tifosi di tutto il mondo. Novanta minuti, forse anche 120, possono essere interminabili quando ti ritrovi davanti una squadra di talenti che è obiettivamente superiore tecnicamente alla tua. Basterà una partita “perfetta” come organizzazione?
Andiamo un passo indietro. Perché amiamo il calcio? Perché ogni generazione da piccolo ha avuto i suoi idoli, ogni bambino sogna nei campetti davanti casa di imitare il tiro di un calciatore o il dribbling di un altro? Perché nonostante i tanti scandali, ultimo in ordine cronologico quello della corruzione all’interno dell’organo principale del mondo pallonaro, la Fifa, noi comuni mortali continuiamo a seguire le partite, compriamo (originale o tarocca che sia), la maglietta del nostro calciatore preferito sia quando sei adolescente, sia quando sei padre di famiglia? Perché il calcio, come ogni gioco di squadra, è altamente imprevedibile. E’una scienza imperfetta e questa cosa attira qualsiasi umano. La partita di calcio può essere la metafora della propria vita: prima di iniziarla sei teso, ma anche ansioso (in senso positivo). Non vedi l’ora di metterti in gioco. Sai che ci saranno momenti no, dovrai saper soffrire, lottare, stringere i denti. Sai che avrai le tue chances e dovrai sapertele giocare. Piangerai, esulterai ma in ogni caso sei disposto a vivere queste emozioni, tutte insieme, in un lasso di tempo di 90 minuti o qualcosa in più.
Sai che divertimento se il calcio fosse tipo le figurine che ognuno di noi ha almeno una volta collezionato da bambino? Schieri la squadra di fenomeni e vinci. E noi cosa seguiremmo ancora questo sport? No non lo faremmo. Il calcio romanticamente ci ha fatto e ci farà sempre sognare. Non c’è nessun finale scontato. Niente di previsto. Vedi le finali tra Milan e Liverpool. Tre a zero ad Istanbul, con una squadra (i rossoneri) di una superiorità tecnico-tattica imbarazzante. Tre a tre, la ruota della fortuna che si rovescia, gli inglesi che la trovano con audacia e buonanotte sognatori milanisti. Almeno per un paio di anni. Fino a quando su 32 squadre ti ritrovi di nuovo faccia a faccia, in finale ad Atene. Giochi male stavolta, ma la vinci. Anche con un gol fortunoso. Subisci l’1-2 al 90° ma “il fato non poteva più accanirsi” come disse Maldini.
Sono questi i motivi per i quali organizziamo ancora oggi le partite con gli amici. Segniamo un gol, ci facciamo la telecronaca (liberamente ispirati a Martellini, Pizzul, Marianella, Caressa, Pardo…), esultiamo come il nostro calciatore preferito. Imitiamo i dribbling di Ronaldo il fenomeno, proviamo il tiro alla Del Piero o il cucchiaio alla Totti. No, non c’è niente di scritto, non c’è una legge nel calcio. Anche il più scarpone, quello che ha limiti tecnici assodati, può fermare il Maradona di turno. Non è scontato che ce la faccia, può anzi fare la figura dell’allocco. Ma sì ci può provare. Con la grinta, la voglia, la concentrazione, l’aiuto dei compagni. Non basta il talento per vincere, non siamo d’accordo Pep. Pasolini diceva “il dribbling è poesia”. Io, umilmente mi sento di aggiungere, il calcio allora è un bel poema. E noi siamo troppo curiosi di leggerlo tutto, magari già a partire da domani.
@Rouge86Rouge