Bergkamp: da bidone a fuoriclasse. Storia dell’olandese non-volante

L’Arsenal non è una squadra come tutte le altre. Sì, ok, di tanto in tanto lo si dice di qualsiasi club abbia mai calcato un campo professionistico. Ma se fate un giro a Londra vi renderete conto che è così. L’Arsenal è sempre stata, almeno fino agli ’90, una squadra che di tanto in tanto riusciva nell’impresa di strappare un titolo ai vari colossi dell’epoca, ma i Gunners erano universalmente riconosciuti e annoverati nella categoria dei “perdenti di lusso”, i polli capaci di gettar via una stagione nell’arco di tre partite. Almeno fino al ’95, quando acquistano per quasi 20 miliardi un “bidonissimo” dell’Inter, quel Dennis Bergkamp che aveva incantato con l’Ajax e fatto ridere da noi, in Serie A. “Pazzi, ‘sti inglesi!”, si diceva nei Bar dello Sport dalle parti di Milano. “Dei veri pirla: gli abbiam rifilato un pedalino sporco”.

Peccato che Bergkamp ci metta poco ad estasiare il pubblico di Highbury. Già al momento della presentazione, per le strade di Londra Nord si vedono scene di giubilo. Tutto questo ambaradam per un mezzo giocatore? Mah… Eppure, nell’arco di pochi mesi, il biondino con il numero 10 diventa un idolo: ha classe da vendere, illumina il gioco con i suoi passaggi filtranti e segna. Diamine, se segna! Pare quasi che non riesca a fare gol brutti. Ma il definitivo salto di qualità, la prova di maturità che tutti aspettano si compie quando sulla panchina dei Gunners arriva l’alsaziano Arsène Wenger. Con lui, pian piano, si gettano le basi per qualcosa di VERAMENTE grande. Come il double campionato/Coppa del 97/98. Con Dennis ci sono il suo connazionale Overmars e un giovanissimo Anelka, che all’epoca sembra una sorta di Ronaldo francese (ma le cose cambieranno in fretta…).

Poi arriva un pupillo del tecnico, un ragazzetto francese con i riccioli corti corti, un altro “bidone” italiano, questa volta proveniente dalla Juventus. Si chiama Thierry Henry e, insieme a Bergkamp, forma una delle coppie d’attacco più mostruose e allo stesso tempo eleganti che si siano mai viste. Sir Alex Ferguson ora ha persino dei rivali, in patria! All’inizio del nuovo secolo l’Arsenal fa paura: si aggiudica un’altra doppietta nel 2002, ma l’impresa vera è quella della stagione 2003/2004: 38 gare, 26 vittorie, 12 pareggi. Sconfitte? Non pervenute. I due là davanti sono roba da fantascienza, nemmeno Ridley Scott e George Lucas avrebbero potuto pensare ad effetti speciali del genere. E che dire di Ljungberg, lo svedese con cresta rossa che ara la fascia? E Pires, che sembra appena uscito dal set di “D’Artagnan”? E Sol Campbell, beh… superalo tu, Sol Campbell. Se non muori prima, ovvio. Vieira, che ne parliamo a fare? Quella squadra è un’orchestra perfetta, il cui direttore è il 10.

Qualcuno sostiene che sia stato l’unico vero erede di Johan Cruijff. Forse è esagerato, ma di certo lo ricorda: nell’eleganza, nelle movenze vellutate eppure mai fini a sé stesse. Parafrasando il Mario Brega di Bianco, Rosso e Verdone, Bergkamp “po’ esse fero e po’ esse piuma”, a seconda delle circostanze. Andate a rivedere la tripletta contro il Leicester dell’agosto ’97: il primo e il terzo goal dovrebbero caricarli su YouPorn. Andate a rivedere il gol all’ultimo minuto contro l’Argentina ai quarti dei Mondiali del ’98: Ayala ancora lo cerca.

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Bidone in Italia, fuoriclasse in Inghilterra. Questa è la storia di Dennis Bergkamp, l’olandese “Non Volante”, per via della sua fobia nei confronti degli aerei. Colpa di un viaggio particolarmente turbolento di ritorno dai Mondiali statunitensi, in cui la Nazionale olandese temette di non tornare in patria. Da quel giorno disse: “Basta, io non volo più”. In cielo, intendeva. Sul campo di calcio l’ha sempre fatto.

 

Articolo di: Lorenzo Latini

 

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