È la mattina del 17 luglio 2008, ricevo una telefonata da mio padre:
“Abbiamo preso Ronaldinho, è ufficiale. Stasera lo presentano a San Siro, vado a vederlo”.
In quel momento non provai proprio del sentimento di affetto per mio padre, mi trovavo in vacanza insieme a mia madre e a mio fratello, mi stavo perdendo la presentazione del giocatore che tutti gli appassionati di calcio volevano avere nella propria squadra.
Fu una presentazione incredibile, un stadio gremito di milanisti in visibilio, show di calcio freestyle e tante speranze di vittoria riposte sul brasiliano.
In certi momenti della vita è un bene non sapere ciò che ci riserverà il futuro, questo fu uno di quelli per i tifosi milanisti. Sì perché il Dinho che arriva al Milan, è un giocatore ben diverso da quello visto con la maglia del Barcellona.
Non è cresciuto nell’oro, ma neanche nella miseria di tanti suoi connazionali. Il padre si faceva in quattro, da un lavoro all’altro, per portare a casa i soldi. Un destino legato al pallone quello della famiglia; papà Joào era stato un centrocampista della squadra dilettante del Cruzeiro Porto Alegre, la carriera di Dinho invece inizia a soli sei anni, quando insieme al fratello Roberto (quello che diventerà il suo procuratore) entra nella scuola calcio del Gremio. Club per il quale il padre faceva il parcheggiatore dello stadio, nei giorni delle partite. L’approdo dei fratelli al Gremio sembra la svolta verso un futuro migliore, la società infatti regala alla famiglia una villa con piscina.
Il sogno si trasforma in incubo, è proprio in piscina che perde la vita il padre. È una tragedia che non fa altro che cementificare il rapporto tra i figli e la madre. Tutti si preoccupano del più piccolino, tutti lo coccolano e lo proteggono. Il padre se ne va presto, ma i suoi insegnamenti resteranno per sempre nella testa del ragazzo.
Le ripetizioni degli esercizi tecnici, l’imposizione del gioco a due tocchi e l’idea di mettere in mostra un calcio pieno di destrezza. Con una tecnica del genere ci nasci, non la apprendi con nessun allenamento, però i dribbling e la rapidità di esecuzione, il ragazzo li perfeziona con il suo cane, dato che dopo un po’ tutti i suoi amici si stufavano di essere messi a sedere e lui restava solo col suo pallone. Avete mai provato a scartare un cane? Provateci e capirete quanto è difficile.
“Ad un certo punto i miei amici si stancavano di giocare a calcio, allora io mi allenavo tra le sedie e con il mio cane; è anche grazie a lui se so fare quello che faccio”
Debutta tra i grandi a diciotto anni e in tre stagioni con il Gremio convince tutti, anche suo fratello, che gli consiglia di intraprendere lo stesso percorso di Ronaldo, ovvero il viaggio verso l’Europa.
È il Paris Saint Germain a credere nel suo talento, il brasiliano non fa cose eccezionali in Francia, ma dopo la prima stagione fa parte della formazione titolare carioca nel mondiale nippo-coreano. Il protagonista assoluto di quella competizione sarà Ronaldo, Dinho però riesce a ritagliarsi il suo momento di gloria.
Nei quarti di finale il Brasile incontra l’Inghilterra di Owen e Beckham. A sorpresa sono gli inglesi a portarsi in vantaggio, con un gol di Owen su errore di Lucio.
Poi però Ronaldinho decide di salire in cattedra. È l’ultimo minuto del primo tempo, quando prende palla a centrocampo e punta la difesa avversaria, Ashley Cole prova a contrastarlo, il brasiliano esegue un doppio passo rapido che mette a terra il difensore inglese, potrebbe anche calciare, ma decide di servire Rivaldo sulla destra, il quale con un piatto sinistro riapre la partita. Nel secondo tempo arriva la giocata da fuoriclasse, una punizione dai trentacinque metri, defilata sulla destra, dalla quale ci si potrebbe aspettare solamente un cross al centro. Seaman è fuori dai pali, Ronaldinho lo vede e calcia in porta, il pallone si insacca sotto l’incrocio dei pali.
Un gol impensabile.
“Ho visto 30 cm di spazio e ci ho provato”.
Non contento di essersi conquistato tutta l’attenzione del pubblico, riesce anche a farsi espellere.
Il Brasile si laurea per la quinta volta campione del mondo, ci ricorderemo della doppietta di ronnie in finale, con annessa una mezzaluna come capigliatura, alquanto rivedibile. Quella competizione fu il trampolino di lancio di Dinho, ancora un anno a Parigi e poi la grande scommessa, Barcellona.
È l’ambiente ideale per il brasiliano, a Barcellona si canta, si balla e si gioca il calcio che piace a lui. È con la maglia blaugrana che il Gaucho esprime il suo massimo potenziale.
È qui che perfeziona tutto il suo repertorio, a partire dalla posizione in campo. Si stazione largo a sinistra, da dove può rientrare per calciare con il suo piede più forte, ma è anche una posizione questa, che gli permette di avere più spazio per far rendere al meglio i suoi dribbling. Le due pedine inamovibili del tridente d’attacco sono lui ed Eto’o, che staziona al centro, il nome del terzo a destra è superfluo.
È in quel momento che diventa Ronaldinho, che diventa il giocatore più forte del mondo per qualche anno. Arrivano i primi riconoscimenti accompagnati da coincidenze importanti, miglior giocatore della FIFA nell’anno del centenario, vince il pallone d’oro nel cinquantesimo anniversario. Prima di ricevere il premio di France Football, toglie qualsiasi dubbio su chi sia il giocatore più forte del momento.
Lo fa nella tana del nemico, al Bernabeu. È una fredda serata di novembre, il Clasico mette di fronte Ronaldo e Ronaldinho, gli occhi di tutto il mondo sono puntati su Madrid.
I blaugrana si portano in vantaggio nel primo tempo, grazie ad Eto’o, nella ripresa ci pensa il brasiliano a mettere al sicuro il risultato. I due gol sono molto simili, ma il primo è un misto di tecnica, velocità, rapidità di esecuzione mai vista prima. Riceve palla alla linea di centrocampo, defilato sulla sinistra, punta verso l’area di rigore, salta secco Sergio Ramos con una finta che lo porta all’esterno, rientra velocemente verso il centro del campo, entra in area di rigore dove fa fuori Helguera con una finta di corpo e poi spiazza Casillas, con un tiro preciso sul primo palo. Un gol pazzesco, tutto di proprietà del brasiliano, che dopo qualche minuto si ripete. La base del gol è sempre la stessa, ripartenza dalla sinistra, questa volta però rimane defilato e non rientra al centro, riesce comunque a segnare una volta entrato in area di rigore e aver saltato il povero Sergio Ramos.
La consacrazione definitiva arriva dagli applausi che il pubblico madridista gli tributa.
L’anno successivo arriverà la Champions League, dopo una cavalcata trionfale, nella quale il protagonista più in vista non può che essere il Gaucho. Nella finale di Parigi, la notizia è che la star della gara non sia lui. Sono infatti le reti di Eto’o e Belletti a decidere la partita. È da lì, dall’apice raggiunto con una squadra di club che inizia il declino di Ronaldinho.
Da Parigi, da dove tutto era cominciato. Il primo indizio arriva pochi giorni dopo, al mondiale tedesco. Il Brasile è favorito, dispone di un arsenale d’attacco stratosferico, Ronaldo, Ronaldinho, Adriano e Kakà. La Francia è nel destino del Gaucho, sono i transalpini infatti ad eliminare la nazionale carioca dalla competizione.
Ancora due stagioni a Barcellona, dove con l’arrivo di Guardiola avviene il passaggio di consegna, il brasiliano lascia il numero dieci a quello che diventerà dopo di lui il più forte del mondo.
L’arrivo al Milan è contraddistinto da tante speranze e pochi fatti. Si sblocca con un gol di testa nel derby, giusto in tempo per far impazzire di gioia i tifosi milanisti e poi una lunga e inesorabile caduta. Gioca da fermo, non lo si vede più scattare e dribblare tutti come qualche anno prima, la movida milanese fa un’altra vittima. Riesce nonostante tutto a far divertire, peccato che lo faccio durante il riscaldamento, dove mostra ai tifosi milanisti numeri da circo, che valgono da soli il prezzo del biglietto.
Lascia il Milan dopo due stagioni e mezzo, per ritornare in Brasile, dove può permettersi di fare la differenza anche giocando da seduto. È stato il primo calciatore a rendere efficace il binomio, pubblicità e calcio. I suoi dentoni sproporzionati, tanto da farlo assomigliare ad un personaggio dei fumetti, quel sorriso spontaneo e contagioso insieme ai suoi numeri da circo, sono stati il mix perfetto. Erano i tempi di joga bonito, del video virale delle quattro traverse, delle scarpe bianche e oro, era l’inizio di quello che sarebbe poi diventato il calcio di lì a pochi anni, un vero e proprio business pubblicitario.
Ha giocato sorridendo, questo potrà sembrare soltanto un simpatica caratteristica del calciatore, in realtà ritengo sia stato il vero motivo della sua forza.
Per molti calciatori si sente tutt’oggi dire, “in partita ha mostrato la metà di quello che era in allenamento”.
La pressione ha ridimensionare molti presunti fuoriclasse, la paura di sbagliare, il timore di provare a fare la giocata difficile, la perdita di fiducia dopo qualche errore, la tensione dei grandi eventi ha portato diversi calciatori a perdersi nel dimenticatoio.
“Cambia tutto vivere sotto pressione. Certe persone le spremi e si svegliano, altre crollano“, diceva Al Pacino ne “L’avvocato del diavolo”.
Evidentemente nella testa di Dinho l’idea di pressione non esisteva. Sembrava che il Camp Nou fosse il campetto del nostro oratorio, dove tutti noi eravamo dei fenomeni; per lui il Clasico o una partita di Champions erano semplici partite di calcio nelle quali divertirsi.
Non ho mai visto un giocatore più naturale di lui sui campi di calcio. In molti imitano giocate di altri, a tratti sembrano quasi recitare una parte che non gli si addice. Nonostante lui stesso abbia ammesso che certe giocate le abbia prese da Ronaldo, il suo gioco e la sua interpretazione di questo sport, rimarranno sempre qualcosa di diverso e inimitabile. Come tutti i più grandi ha avuto il suo marchio di fabbrica, il passaggio no look. Non c’è spiegazione migliore per descrivere le capacità di questo calciatore. Eseguire un passaggio, nella maggior parte dei casi perfetto, guardando da tutt’altra parte. Come se stesse partecipando ad una gara di salto in alto, questo era il suo modo per alzare il coefficiente di difficoltà del suo gioco. Voi guardate pure nella direzione dove va la palla, io guardo dall’altra parte. Ah, ovviamente la palla la metto sui piedi del mio compagno.
Nessuno è riuscito a rendere così utili, nel contesto di una partita, dribbling e numeri da circo. Nessuna giocata era fine a sé stessa, qualsiasi numero mettesse in pratica, gli permetteva di creare una situazione di favore per la sua squadra.
Penso sia inutile stare qui a cercare di descriverlo tecnicamente. Se Maradona è il sinistro di Dio, beh il piede destro non può che essere quello di Ronaldinho.
Sarebbe stato il calciatore ideale per il pubblico jugoslavo, il quale chiedeva indietro i soldi del biglietto se in campo non c’era qualcuno in grado di mettere a sedere gli avversari. È stato uno di quei calciatori dei quali si parlerà, non semplicemente narrando le sue gesta, ma ricordandolo come un’epoca.
Forse l’ultima, di un calcio normale con un campione “umano”, prima che i due marziani si impadronissero di questo sport.
Verrà ricordato come il periodo del brasiliano che diventò il più forte di tutti sorridendo.
Lui si è divertito giocando a pallone, noi guardandolo, ci siamo divertiti più di lui.
Articolo di: Gezim Qadraku
Inviateci le vostre storie all’indirizzo info@chiamarsibomber.com