Il Gallo è tornato e segnerà ancora tanto

 

Siamo al 65′ di Torino-Udinese e Andrea Belotti non sta facendo una partita indimenticabile al suo rientro da titolare. Parecchia lotta, tante sportellate, qualche fallo guadagnato a centrocampo e una mezza occasione sul finire del primo tempo: tutto lì. Poi raccoglie un pallone nella sua metà campo e parte in fuga verso un gol parecchio lontano dal suo habitat. Un’azione solitaria con cui manda al bar un difensore (palla alla sua sinistra mentre lui gira alla sua destra) prima di andare verso la porta di Bizzarri con la sua corsa ingobbita, da cavallo pazzo, portandosi appresso il fiato sospeso dell’Olimpico e conducendolo a un’esultanza pazza.
Lì Belotti non mette solo una palla in porta, ma rompe una crisi che va oltre l’astinenza da gol (che mancava da 57 giorni, aveva firmato l’1-3 col Napoli, ma senza dare l’impressione di essersi sbloccato); si tratta di percepire una liberazione, di capire che in una lunga corsa di sessanta metri si può riascoltare tutto il proprio talento. Belotti capisce di essere vivo in quelle lunghe falcate e ritorna sotto la Maratona con la cresta alzata come un bambino felice.

COSA ERA SUCCESSO A BELOTTI – La speranza di tutti è che Belotti si sia messo definitivamente alle spalle un vero e proprio calvario che lo aveva inibito in una stagione giocata con il freno a mano per tutto il tempo e grazie alla quale qualcuno ha sentito la necessità di ribadire l’esagerazione nella valutazione che gli era stata fatta la scorsa stagione: qualcuno parla di voci di mercato, di pressioni derivate dai 100 milioni che gravitavano sul suo conto. In realtà niente di tutto questo. Belotti inizia questa stagione con lo stesso piglio di quella passata: segna subito tre gol, di cui uno meraviglioso – una rovesciata al Sassuolo di pura coordinazione – e poi entra in un tunnel buio che presenta apparenti vie d’uscite, sbarrate da ulteriore buio. Sempre nuovi impedimenti. Sempre nuovi problemi.


Vogliamo cancellare dalla lista delle ipotesi la possibilità che Belotti abbia iniziato a sentire pressioni addosso.
Una delle possibilità ci porta a pensare ad un equivoco tattico: lo spirito smisuratamente aggressivo di Mihajlovic impone presto al Toro un 4-2-3-1 che la squadra non può palesemente caricarsi sulle spalle, e lo stesso Belotti potrebbe averne risentito, tanto che quei tre gol sono distribuiti in 7 partite, e per le medie del Gallo forse sono un po’ pochi.
Il trequartista alle sue spalle non lo beneficia troppo: Belotti è uno che ha bisogno di giocare al fianco di un brevilineo (ieri nel finale lo ha fatto con Iago Falque in un 3-5-2) o con due ali al fianco (nel 4-3-3, come da modulo di partenza con Niang e Falque ai lati). Non è un giocatore nato per seguire le verticalizzazioni (quello che fa Immobile con Luis Alberto alla Lazio) ed è il motivo per cui con quel modulo i suoi gol sono spesso frutto di iniziative personali (la rovesciata) o di tap-in ribaditi in porta (gol all’Udinese all’andata).
Ma poi Belotti si fa male, e lì inizia un disastro traducibile con una pessima gestione del suo infortunio.

IL CRACK – Belotti subisce un infortunio al ginocchio in un Torino-Verona che l’Hellas recupera nei minuti finali da 2-0 a 2-2. Nel mezzo di questo infortunio accadono cose di non secondaria importanza: a) Mihajlovic rischia il posto per i pessimi risultati; b) l’Italia gioca lo spareggio con la Svezia.
Traduzione: recupero affrettato. A tempo di record Belotti rientra meno di un mese dopo senza alcun dosaggio: è subito titolare con il Cagliari nella gara con cui Miha si gioca la panchina. Il Toro la vince, ma Belotti non è mai nel vivo del gioco e così sarà per tutte le restanti partite alla guida del serbo, complice un infortunio non del tutto metabolizzato. (Psicologicamente le cose di campo non lo aiutano, perché viene eliminato con l’Italia allo spareggio e sbaglia anche un rigore decisivo col Chievo in campionato).
E siccome i guai non vengono mai da soli, Belotti subisce una nuova ricaduta in allenamento il giorno prima di una partita. Qui arriva il bello (o il brutto) della storia: alcuni parlano di operazioni, di rischio rottura del crociato, ma quando questi rischi vengono sminuiti, Mihajlovic dichiara alla stampa che quello di Belotti non è neanche definibile come infortunio.

Così gli fa saltare per precauzione solo l’incontro del giorno dopo, che si gioca il 30 dicembre, e – signori e signori – Mihajlovic dichiara che Belotti potrebbe già andare in panchina i primi di gennaio con la Juve, ma che sarà sicuramente a disposizione per il 6 gennaio.
Ma Mihajlovic viene esonerato prima del 6 gennaio e il suo sostituto, Mazzarri, lo schiera in campo ieri per la prima volta. L’11 febbraio. Quaranta giorni dopo le previsioni di Mihajlovic. QUARANTA.

LA SALVEZZA DI MAZZARRI –  Per fortuna di Belotti, Mazzarri conserva una certa dose di prudenza (e di buon senso), e rinuncia subito a lui, chiudendo le porte a un recupero affrettato che potrebbe costargli un’altra ricaduta. Non cede mai, è rigoroso: Belotti rientra solo quando sta bene davvero. E quindi piano piano se lo porta in panchina, gli concede un quarto d’ora, poi venti minuti, fino al recupero totale con l’Udinese.
Ora è chiaro che un gol è solo un gol, ma la determinazione con cui arriva, la cattiveria e la certezza che Mazzarri lo abbia risparmiato fino a quando non lo ha trovato davvero in forma ci consiglia di credere nel fatto che Belotti avrà la fame giusta per concludere alla grande questo campionato.
Vittima di una stagione critica, il Gallo ha tutte le motivazioni per alzare la cresta e tutto ci fa pensare che sia pronto a mettere la palla in porta almeno altre dieci volte. La Maratona aspetta di vedere la sua cresta e di sentire ancora il suo canto.

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