In tanti lo avevano già detto e fatto intendere nei motissimi giorni del lavoro e dell’impegno. Nei giorni in cui Davide Astori cresceva nelle giovanili del Milan (in coppia con Legati nella Primavera prometteva di prendersi la difesa rossonera del futuro), come in quelli della gavetta in C a Pizzighettone e Cremona, prima dell’exploit di Cagliari e dell’affermazione, dopo l’occasione giallorossa, a colonna della Fiorentina.
Se ne parlava negli ambienti di calcio, negli spogliatoi, negli uffici dei dirigenti. Si parlava di quanto fosse importante avere un calciatore con quel profilo e quelle caratteristiche, che nonostante la concreta riservatezza di buon bergamasco poteva arrivare al punto e al centro con parole chiare e preziose. Allora si capiva che sarebbe potuto diventare un capitano, giusto con quel modo di porsi e condurre.
Si capiva, anche se ai più (quasi tutti noi), la dimensione della caratura umana del professionista Astori, solo su questa siamo in grado di concentrarci, è emersa chiarissima nel giorno dell’insensata tragedia. Le reazioni dei protagonisti del calcio italiano, i colleghi e amici affiancati e incontrati nel suo percorso ventennale, hanno con la loro tremenda limpidezza irrorato di luce un nome e un volto che da anni ci accompagnavano pur senza la ribalta di una consacrazione, o le spinte di una notorietà effimera.
In questo senso è corretto precisare una cosa. Nessun organo federale è stato realmente protagonista della decisione di sospendere la giornata di Serie A. Senza l’amico non si può giocare (verbo che al calcio deve essere sempre legato), semplicemente. E di amici veri, chiamati a giocare, Astori ne aveva davvero tanti. Da Udine l’emozione ha invaso i cuori incontrollata. Per il Cagliari e Cagliari è stata subito travolgente. Ha raggiunto tutti i ritiri, si è rovesciata nelle strade di Firenze, è volata sul campo del Levante, nelle sale stampa e negli spogliatoi della Premier, superando l’oceano fino alla San Lorenzo di Gonzalo Rodriguez.
E al termine di questo percorso d’amore, comunque, il senso non c’è. Non si trova. Resta solo una storia, come accade per tutti gli uomini. Quella di Davide, la sua versione, sembra sinceramente buona, e degna di essere raccontata. Non è molto, quasi niente, ma è quel che si può tenere.