La “solita” sfida di Guardiola: “Non sono al City per vincere la Champions, ma…”

In corsa per la Champions ci sono due allenatori agli antipodi. Max Allegri propone la metafora dell’ippica per far capire ai giornalisti che chi vince, come ha detto in conferenza a Ferrara, di “corto muso” finisce sui libri. Chi per un’incollatura invece si piazza secondo scompare. Non rischia questa fine Pep Guardiola, che di vittorie, e pure per largo margine, ne ha raccolte già un’infinità. Piuttosto sono le parole del tecnico catalano a far spesso crescere il dibattito sulla sua visione del calcio, e della competizione. Finchè Pep illuminava la strada nella sua Barcellona la questione non si è mai sollevata. Un gioco mai visto prima, e successi domestici e internazionali a profusione. I problemi sono invece cominciati quando il “modello Guardiola” è stato esportato.

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In Germania Pep ha provato a cambiare una tradizione di successo fondata sul vincere “alla tedesca”. Durezza mentale, durezza fisica e solidità tecnica al servizio del risultato. In Bundes il suo Bayern ha passeggiato, ma in Champions la magia è sempre mancata. Uli Hoeness, dirigente e totem dei bavaresi, lo ha sempre criticato. Per l’ex Verona Briegel il fallimento della Nazionale di Loew in Russia è addirittura imputabile al tecnico catalano, a suo dire colpevole di “aver illuso la Germania facendo credere che bastasse il 75% di possesso palla per vincere le partite”.

Guardiola è così, un vero e proprio filosofo dal “pensiero forte”. Un ammaliatore capace di portare anche i più scettici a credere nel suo modello, presentato con passione, tenacia, e estremo senso del bello.

In Inghilterra, dal suo arrivo al City, la storia sembra sinistramente ripetersi. Un Club che ha cominciato a vincere recentemente in patria grazie ai petroldollari, cerca identità internazionale. Pep al solito ammalia, e dopo un anno di apprendistato comincia a monopolizzare la Premier offrendo gioco, spettacolo, e valorizzando giovani talenti.

“Non sono al City per vincere la Champions”. E lo Sceicco cosa pensa?

Ma in Champions, ancora una volta, la fiamma non si accende. Fuori dal Camp Nou, e senza il suo pupillo Messi, manca sempre qualcosa. La leggerezza del City è un’arma a doppio taglio, che nei grandi appuntamenti europei penalizza. Ormai Guardiola sembra averlo capito, ma un credo è un credo, e a costo di subire aspre critiche non abiura. La conferenza stampa di vigilia al match decisivo con il Tottenham ne è la conferma:

“Ero in un grande club al Bayern Monaco e dopo tre stagioni ho vinto tutto tranne la Champions League. È stato un grande fallimento. Cosa posso dire? Lo accetto, lo so, devo convivere con questo pensiero ma non è un grande, grandissimo problema. Certo, ti dà la carica sentire di volerla vincere ma se non la vinci, allo stesso tempo devi accettare che le altre squadre sono state più forti nella competizione. Ecco perché ho detto molte volte che, per me, la Premier League è il titolo più importante.

Non sono venuto qui per vincere la Champions League. Sono venuto qui per far giocare la squadra come sta giocando negli ultimi 20 mesi, ecco perché sono qui. Per far giocare la squadra come voglio che giochi. Certo che voglio vincere la Champions League”.

Vincere sì, ma soprattutto veder la squadra giocare così. Estetica al massimo livello o vanità? Nel frattempo gli Sceicchi continuano a spendere e i tifosi a sognare…

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