Nove partite fa, il Piacenza era a -8 dalla Virtus Entella nella corsa alla vetta del girone A di serie C. Grazie alla vittoria del Garilli datata 23 aprile, gli emiliani sono arrivati al primo posto della competizione. Più 2 sui liguri quando alla fine del campionato mancano 180 minuti, da vivere prima contro l’Olbia al Garilli e poi a Siena. Due sfide per garantirsi quel ritorno in Serie B, categoria nella quale i biancorossi mancano dalla stagione 2010/2011. Merito del gol-vittoria di un veterano come Alessio Sestu, autore del centro vincente contro l’Entella, e di un Garilli pieno come non si vedeva da anni. Tutto era iniziato fin dal primo pomeriggio: con la processione ai botteghini incurante della pioggia, dopo che dalla Prefettura è arrivato il via libera alla messa in vendita di altri duemila biglietti. Così, la nostalgia ci assale e ci riporta in mente il “Piacenza degli italiani”.
Da Cagni a Simoni: storia di una filosofia
Flavio Roma, Gianluca Lamacchi, Cleto Polonia, Alessandro Mazzola, Pietro Vierchowod, Alessandro Lucarelli, Massimo Rastelli, Paolo Cristallini, Davide Dionigi, Giovanni Stroppa, Ruggiero Rizzitelli, Michele Nicoletti, Alberto Gilardino, Renato Buso, Daniele Delli Carri, Giordano Caini, Stefano Morrone, Stefano Sacchetti, Francesco Zerbini, Giampietro Piovani, Giampaolo Manighetti, Davide Bagnacani, Arturo Di Napoli, Andrea Maccagni, Andrea Tagliaferri, Francesco Statuto, Carmine Gautieri. Sono i protagonisti del Piacenza 1999/2000, quello che chiuse la Serie A in 18esima posizione e retrocesse in Serie B. Già, perché per studiare la fenomenologia di una strategia societaria occorre partire dal fallimento. O meglio, dal suo punto più basso. Provate a scorrere quei nomi in rosa, allenati da Gigi Simoni prima, Daniele Bernazzani poi e infine da Maurizio Braghin. Quel Piacenza finirà in B, ma resta la testimonianza più probante di “involontaria resistenza” alla sentenza Bosman, quella che di fatto aprirà le frontiere al libero accesso dei giocatori stranieri nei campionati europei. In una terra di confine tra la cultura emiliana e l’operosità lombarda, l’ingegner Garilli – che nella vita di tutti i giorni è il titolare della Camuzzi, azienda leader nella distribuzione del gas metano – darà vita a un piccolo prodigio calcistico, portando quella squadra che nel 1983 era retrocessa in C2 allo storico traguardo della Serie A nell’arco di 10 anni. Con una linea guida: puntare sul vivaio.
Non possiamo permetterci di sbagliare e la nostra struttura non ci permette di andare in giro per il mondo a scoprire talenti. Il Piacenza non vuole dipendere da nessuno e stiamo bene con i nostri giocatori italiani
Una filosofia mai mutata, nemmeno al ritorno in Serie A nel 1995, dopo un saliscendi lungo due anni tra le categorie. Su quella panchina c’era Gigi Cagni, che con i suoi baffetti e il suo fisico da ragioniere incarnava al meglio i valori del calcio di provincia. Difesa a zona mista, arte dell’arrangiarsi in attacco, palestra per talenti italiani. Oggi, risultano perfino anacronistici. In quel gruppo di operai del pallone c’erano nomi che fanno parte della tradizione dei ragazzi cresciuti a pane e pallone negli anni ’90. Cleto Polonia, terzino poi diventato una figura cult, Totò De Vitis, bomber di razza, Settimio Lucci, libero dal nome affascinante, e Giampietro Piovani. Piccolo ma muscoloso, non stilisticamente gradevole ma capace di diventare recordman assoluto di presenze nella storia dei Papaveri. A loro modo, diventeranno delle figure cult.
Prima della Serie A tutti pensavano che Piacenza fosse in Lombardia, almeno abbiamo fatto capire che si stavano sbagliando.
Dagli Inzaghi a Ferrari: terra di bomber
I baffi appuntiti di Cagni saluteranno Piacenza nel 1996. A rilevarne l’eredità in panchina saranno prima Bortolo Mutti, poi Vincenzo Guerini e appunto Gigi Simoni. Quello che non cambierà nel simbolo della provincia nel pallone sarà l’attitudine al gol. Dai 14 gol di Nicola Caccia nella stagione 1995/96 ai 15 di Simone Inzaghi tre anni dopo, fino agli anni 2000 con Dario Hubner (24 centri nell’annata 2001/2002), tanti saranno gli attaccanti di razza passati per quella maglia che ha lanciato anche Filippo Inzaghi e Alberto Gilardino. Allora chissà se Franco Ferrari, centravanti argentino che in 16 partite di C quest’anno ha messo insieme 10 reti, sfoglia l’almanacco e legge i loro nomi prima di andare a dormire. Oggi sulla cartina geografica del calcio il suo nome non c’è. Come per Polonia, Lucci, Piovani e De Vitis 25 anni fa. La storia, quella che hanno scritto, la conosciamo tutti.