Il maledetto Bari di Caputo

La notizia del passaggio di Ciccio Caputo al Sassuolo ha rasserenato molti tifosi di tutta Italia: vuoi per i soliti motivi fantacalcistici che ormai saturano le discussioni sportive delle persone che seguono lo sport, vuoi per una certa empatia che si è creata con tutti i giocatori dell’Empoli che non meritavano la retrocessione, sapere che Caputo sarà ancora in Serie A ha fatto piacere un po’ a tutti.
Stiamo parlando di un giocatore che in Serie A ci è arrivato tardi (l’aveva assaggiata appena nel 2010 con il Bari, ora ha 31 anni) e che, al primo vero tentativo nella competizione massima, ha segnato sedici gol, di cui due molto belli a Juventus e Napoli.
Capire i motivi di questo arrivo ritardato in A solo attraverso i numeri delle scorse stagioni è abbastanza riduttivo per spiegare realmente la traiettoria di questo giocatore: trentacinque gol in ottanta partite con l’Entella e quarantadue con l’Empoli in altre settantanove. In totale quattro stagioni con medie gol altissime, per cui viene naturale chiedersi quanto tempo ci abbiano messo a portarlo in Serie A, o ancora: se mai ci sarebbe arrivato se non fosse salito con le proprie forze con la maglia dell’Empoli. La domanda è lecita, ma la realtà è che quello che oggi è un idolo simpatico di tutte le tifoserie d’Italia ha vissuto prima dell’Entella uno dei periodi più bui della sua carriera, due anni infernali con la maglia che lo ha lanciato nel grande calcio e che Caputo ha sempre sentito come una seconda pelle, essendo la squadra della sua terra: quella del Bari.

Prima dell’incubo

Piccolo passo indietro: nel 2008 il Bari compra Caputo da una squadra di Serie C2, il Noicattaro. Antonio Conte inizia a impiegarlo abbastanza spesso nell’anno della promozione in Serie A, a cui lui contribuisce con una decina di gol e una chioma di capelli così lunga da renderlo irriconoscibile oggi.

Quando il Bari se ne va in A, lui fa un anno di parcheggio alla Salernitana, per poi tornare in Puglia l’anno dopo (quello delle scommesse e dell’autogol di Masiello nel derby), e capitare di tanto in tanto titolare perché a un certo punto la rosa del Bari si svuota; poi, a retrocessione fatta, diventa un perno delle tristi Serie B che verranno per il Bari, anni magri senza neanche riuscire a sfiorare i play-off.
Nel frattempo però lui diventa un simbolo, il capitano, e porta a casa gol e prestazioni, fino a quando non arriva una squalifica di un anno per omessa denuncia in una partita tenuta sotto occhio per il calcioscommesse.
Qui parte il primo incidente della storia: Caputo si perde l’unico anno decente del Bari, l’unico che non doveva perdersi; quello della rimonta dal terzultimo posto alle semifinali play off; quello degli spettatori che da 300 diventano 58.000; quello dell’autofallimento e del #Compratelabari. Si crea un gruppo talmente forte agli occhi dei tifosi, che Caputo inizia a diventarne quasi estraneo ai loro occhi. Quando l’anno dopo torna a disposizione, Caputo si riprende la fascia di capitano che aveva ceduto temporaneamente a Marino Defendi. Oggi molti tifosi del Bari sostengono che quello switch abbia alimentato un’insofferenza nei suoi confronti, ma la realtà è che – come è chiaro da questo video – Caputo in un’amichevole estiva riceve addirittura un coro ad personam dopo un gol, con una fascia al braccio. Non la reazione di chi è incazzato per una fascia di capitano.

Dentro l’incubo
Col senno di poi probabilmente l’idea di togliere la fascia a un simbolo di un’annata storica del Bari non è stata delle migliori, ma è davvero difficile ricondurre questo evento all’origine dei mali. Anche perché nelle prime sette partite che gioca, Caputo segna cinque gol, e quindi in quel momento nessuno pensa al calcioscommesse, o alla fascia di capitano. Tutto è sottaciuto.
Come capita un po’ a qualsiasi tifoseria calda ci si inizia a pensare quando i tre punti diventano ricordi vaghi, e qualcuno deve pagare per tutti: il Bari vince una partita su nove, Caputo inizia a sbagliare dei gol oggettivamente facili ed entra in una spirale in cui il pubblico non fa niente per aiutarlo a tirarsi fuori, anzi: lo sacrifica come capro espiatorio. Più gol sbaglia, e più i fischi e i brusii aumentano a ogni controllo di palla. Quando gioca, la tensione diventa irrespirabile: Caputo non riesce più a fare neanche le cose semplici e – anche per tutelare il suo lavoro – Davide Nicola deve iniziare a panchinarlo se vuole che qualcuno segni dei gol lì davanti. Lui chiude comunque la stagione a undici reti, che in una situazione del genere non sono neanche pochissime considerando che nel girone di ritorno il campo lo vede raramente.

All’inizio di questo video uno dei tipici errori di Caputo in quel periodo: qui siamo già a dicembre, i nervi sono saltati da un po’ di tempo e questa partita è quella che inizia a far riflettere la società su ulteriori investimenti a gennaio in attacco.

Analizzando oggi la storia, Caputo non ha certamente solo un ruolo di martire in questa storia; durante la sessione di mercato di gennaio, contribuì ad alimentare quel clima di odio con un tweet di risposta a una persona che gli chiedeva se ci fosse qualcosa di concreto con il Catania e a cui lui rispose dicendo: “Ci verrei anche a piedi”. Non le cose che solitamente i tifosi gradiscono, soprattutto in un momento in cui il rapporto era incrinato e la classifica non rispondeva alle aspettative che i tifosi del Bari si erano fatti.
Quell’anno ero abbonato al San Nicola – uno degli ultimi anni prima di trasferirmi lontano dalla Puglia – e non riuscivo a capacitarmi di quello che stava accadendo: come potete – mi chiedevo – fischiare un giocatore durante la partita come se fosse un avversario? Come potete non rendervi conto che se lasciamo che il nostro attaccante arrivi davanti al portiere sfiduciato e impaurito, sarà la squadra che tifate quella che non segnerà e che non vincerà? Come potete non accorgervi che abbiamo un patrimonio che bene o male ha fatto sempre i suoi onesti quindici gol (quelli faceva in quel periodo) e che non possiamo permetterci di perdere quei gol così a cuor leggero?
La cecità del momento ha portato Caputo sull’altare dei Responsabili, per molto tempo come se fosse l’unico.

Dopo Bari
Nei due anni di Chiavari, neanche trentacinque gol convincevano molti tifosi del Bari, secondo i quali Caputo avrebbe potuto rendere a quei livelli solo in una piazza del genere: lontana dalle pressioni; poi è arrivato all’Empoli, ha segnato quasi trenta gol per andare in Serie A e anche al massimo livello calcistico ha dimostrato di valere più di quello che si pensava di lui.
Certamente Caputo ha fatto un upgrade del suo repertorio rispetto a quando giocava nel Bari, ma parte delle sue azioni restano abbastanza codificate: Caputo ha un’abilità a smarcarsi che hanno pochi attaccanti, ed è il motivo per cui in una partita riesce a costruirsi parecchie occasioni da gol sia in A che in B (ergo: tanti gol, ma anche tanti errori. Li ha fatti ad Empoli, e li faceva a Bari); sicuramente con gli anni ha affinato la mira davanti alla porta, o molto probabilmente sente che uno scoglio come la tua gente che ti pressa e ti fischia, che ti fa sentire un giocatore sbagliato, un estraneo in casa, non sia facilmente ripetibile in termini di pressione.
Probabilmente oggi tutto sembra più semplice rispetto a quel dolore lì.
Oggi è l’idolo di tutti, ieri era odiato in casa sua. Oggi – che sappiamo anche della sua estraneità e della sua assoluzione rispetto ai fatti del calcioscommesse – sarebbe bello rivederlo un giorno al San Nicola, a far la pace con la sua gente e mettersi da parte tutto quel rancore.

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