Brutta bega legale tra la Chapecoense e Alan Ruschel, uno dei tre sopravvissuti all’incidente aereo del 2016. Il calciatore dopo quell’orrendo episodio ha continuato a giocare per il club brasiliano e nonostante abbia lasciato la squadra un anno fa, avrebbe ancora delle pendenze salariali che la Chapecoense non vuole riconoscergli.
La Chapecoense non vuole pagare gli stipendi arretrati a Ruschel
Il 29 novembre 2016 è una data che nessun calciofilo scorderà mai: l’aereo che trasportava giocatori e staff della Chapecoense a Medellin per la finale di Copa Sudamericana, cadde con a bordo 77 passeggeri di cui 71 persero la vita. Di quell’incidente sopravvissero soltanto tre calciatori: il portiere Follman a cui venne amputata una gamba, il difensore Neto che lasciò il calcio tre anni dopo perché non riusciva a superare il dolore e per l’appunto il difensore Ruschel che ha continuato a giocare nella Chapecoense fino alla scorsa stagione, prima di trasferirsi prima al Cruzeiro e poi all’America MG, con cui ha chiuso la sua avventura il 31 dicembre scorso. Attualmente è svincolato e chiede che la Chapecoense gli riconosca gli arretrati di stipendio.
Tuttavia il club brasiliano ha altre idee a riguardo, come riportato su un documento che i legali hanno redatto rispendendo al mittente ogni richiesta: “Il ricorrente non è stato vittima di un incidente, anzi al contrario è un sopravvissuto benedetto dalla forza divina e, tra quelli direttamente legati al calcio, è l’unico che continua a svolgere la sua attività in maniera identica al periodo precedente. In effetti l’incidente ha dato al ricorrente notorietà ed ha aumentato i suoi guadagni, basta rivedere la storia dei suoi contratti, la sua immagine si è accresciuta e ha guadagnato notorietà in tutto il mondo”.

Ruschel ha risposto con amarezza: “Ho avuto accesso alla difesa del club e loro affermano che non sono una vittima dell’incidente, ma un sopravvissuto. Dicono che la tragedia mi ha giovato. Sono frivoli e non sono preparati per affrontare una questione così importante. La mia vita doveva continuare, ma questo non toglie la responsabilità del club. Solo io conosco i traumi che porto con me, la fatica, la lotta per tornare a giocare. Oggi ho otto viti alla schiena, non voglio vittimizzare me stesso, voglio solo chiarire questa situazione. Dire che la mia vita è andata avanti normalmente è assurdo, non solo per me, ma anche per le famiglie delle vittime dell’incidente”.