Rouen è considerato uno dei centri più artistici di tutta Francia, presentando un subisso di monumenti gotici che hanno consegnato alla località l’appellativo di Ville Musée, città dei musei. Il nucleo pullula di case a graticci, che richiamano l’architettura medievale tipica del nord Europa. Stiamo parlando non di un posto qualunque, ma di una delle poche città francesi ad essere insignita con la Légion d’honneur, ordine cavalleresco costituito più di 200 anni fa da nientepopodimeno che Napoleone Bonaparte.
E chi se non una città d’arte può dare i natali a uno dei centravanti più forti della storia del calcio transalpino? Proprio qui, in questa cittadina con poco più di 100’000 abitanti situata nel nordovest francese, nasce David Sergio Trezeguet, il 15 ottobre del 1977.
Vivere in Francia a fine anni Settanta non è come stare seduti comodi su un divano a gustarsi una pellicola cinematografica di Marguerite Duras, specie se sei straniero, come papà Jorge e mamma Beatriz. È un periodo un po’ particolare per la Repubblica guidata da Valéry Marie René Georges Giscard d’Estaing, capace di insediarsi all’Eliseo a soli 48 anni, poiché in Francia gli immigrati sono etichettati come troppo esogeni culturalmente. Crescere un bambino in queste circostanze non è il massimo, così Jorge carica sul primo aereo il neonato e decide di riportare nel Barrio argentino la sua famiglia, originaria di Buenos Aires. Ed è nella patria del chimichurri che il giovane David muove i primi passi con un pallone. Cresce nel Platense, che lo fa esordire nel Campionato d’Apertura a soli 16 anni. Gioca sole cinque partite tra il 1993 e il 1995, anno in cui fa ritorno in Francia, tra le fila del Monaco.
Ad accorgersi subito delle sue qualità è Jean Tigana: il miglior centrocampista della Francia campione d’Europa del 1984. Ah certo, se non avesse mai deciso di mettersi gli scarpini chiodati tale Michel Platini, uno che però non giocava propriamente a calcio, faceva altro, un poeta del rettangolo verde. Quella Francia però plasmò alla perfezione il pensiero di Tigana, una volta che decise di sedersi in panchina. Nel torneo di casa, la Francia propose infatti un calcio piacevole, facendo della tecnica individuale una pietra miliare del proprio gioco. Basti pensare al quartetto di centrocampo formato da quattro autentici numeri 10, con re Michel a dirigere le operazioni.
Tra Trezegol e Tigana scatta subito la scintilla, forse perché entrambi hanno condiviso un un’infanzia difficile, ricca di povertà. Il tecnico, nato a Bamako, nel Mali, stravede subito per quel talento pronto a sbocciare sotto le sue indacazioni. Nel Principato David trova un altro totem del calcio transalpino: Thierry Henry, con il quale forma una coppia formidabile. Partecipa come comprimario al Mondiale del 1998, contribuendo al successo finale con una rete nel girone e siglando il proprio penalty nei quarti di finale contro l’Italia. Già, i rigori, una lotteria spesso beffarda al bomber di Rouen.
Il giovane delantero comincia a vedere il suo nome sui giornali in maniera sempre più insistente: la promessa del calcio francese si sta facendo. Ma non è una sorpresa per gli addetti ai lavori, no, perché David ha tutto quello che serve per il calcio dell’epoca: grande controllo di palla, senso della posizione straordinario, fiuto del gol degno dei migliori numeri 9, gran colpo di testa e abilità di tiro con entrambi i piedi lo rendono immarcabile negli ultimi 16 metri. Se accendevi la televisione e guardavi il Monaco della stagione 1999-2000 ti accorgevi che dentro a quel team c’era tanto materiale buono, da Ludovic Giuly a John Arne Riise, passando per Marcelo Gallardo e Sabri Lamouchi. A tramutare in oro la mole di gioco creata dal club di Claude Puel ci pensava Trezeguet, capace di andare a marcare il tabellino in 22 occasioni. I Monegaschi nella prima parte del campionato presero le misure, rodarono i meccanismi e gli schemi, per poi iniziare una magnifica cavalcata dopo Natale, culminata con l’ottavo scudetto della storia del club conquistato a tre giornate dalla fine.
Inevitabile, arriva la convocazione di Roger Lemerre per l’Europeo in Olanda e Belgio del 2000. Nelle prime due partite resta a guardare i successi della sua Nazionale, che impressiona al debutto contro la Danimarca, vincendo con un roboante 3-0 e si porta a quota sei punti sconfiggendo la Repubblica Ceca per 2-1, eliminando di fatto i finalisti del 1996. Con la qualificazione in tasca, ecco che il CT dà la possibilità a chi ha giocato meno di mettersi in mostra. David ne approfitta e va a segno nella sconfitta per 3-2 contro l’Olanda, che passa a punteggio pieno. Trezeguet torna in campo nella mitica semifinale contro il Portogallo, quel Portogallo che tanto ha incantato in quell’edizione. Sul punteggio di 1-1, al 105′ del supplementare, il transalpino sostituisce Titì, andato in gol al 51′. A pochi minuti dalla fine una sua incursione porta al contestatissimo fallo di mano di Abel Xavier, che avrebbe forse fatto bene a sistemare in modo migliore le braccia anziché i capelli… . Zidane trasforma, la Francia vola in finale contro l’Italia e gli scommettitori passano dal botteghino a riscuotere.
Poco da dire su quella partita, gli Azzurri di Zoff vanno avanti, sprecano l’inverosimile e una Francia sorniona a pochi minuti dal termine pareggia con Wiltord. Allo sbarbatello poi comincia a ronzare per la testa una pazza idea: deve essere suo quel viso che l’indomani sarebbe apparso su tutti i quotidiani francesi e del mondo. Pires va sul fondo e centra in prossimità del dischetto, un rimbalzo della palla poi il resto è storia conosciuta da tutti: David si coordina e con un sinistro chirurgico lascia di ghiaccio una Penisola intera, consegnando al golden gol la storica doppietta Mondiale-Europeo alla Francia. In Piemonte qualcuno avrà storto il naso, ma la dirigenza juventina ha le idee chiare: Trezeguet va comprato, e così è.
La prima stagione non è facile per il nuovo numero 17 bianconero, specie all’inizio, quando Ancelotti decide di puntare forte sulla coppia Del Piero-Inzaghi, un patrimonio del club. Nel finale si impone come titolare e riesce a risultare capocannoniere della squadra con 15 centri, ma lo scudetto finisce sciaguratamente alla Lazio. Ancelotti viene mandato via, neanche troppo gentilmente, e a guidare la Juve torna Lippi, che sotto la Mole un ciclo l’aveva già aperto in precedenza, leggasi la super Juve degli anni Novanta che ispirò poi lo United di Ferguson. Il Marcello è all’anno zero, i supporter salutano Superpippo e soprattutto Zizou, desideroso di conoscere il “mare di Madrid”… . In entrata ecco però Buffon, Thuram e un certo Nedved. Trezeguet è un’ira di Dio nella stagione 2001-2002, segna 25 gol e contribuisce allo scudetto del famoso 5 maggio. Gli anni a seguire sono un continuo susseguirsi di reti, infortuni, lacrime manchesteriane, trofei, come lo scudetto del 2005 vinto con la nota rete di San Siro su assist di Pinturicchio, e qualche mal di pancia, perché Trezeguet era forte quanto il suo carattere. O le cose vanno come piace a lui, oppure è capace di gesti folli, come quando sputtana in diretta la sua dirigenza in uno Juventus – Spezia di serie B, mimando dopo una rete i suoi 15 gol fatti in stagione e il gesto di venir cacciato via come uno qualunque.
Ma così non è, perché con le Zebre c’è ancora da regalare qualche momento d’oro in quell’area di rigore, il suo vero habitat. C’è addirittura chi, come Cirilli, lo definisce “un vero Kamasutra del gol, la mette dentro da tutte le posizioni”. Cirilli non si sbaglia affatto, perché Trezeguet è l’essenza del calcio, un calcio che forse ora non esiste più, perché i goleador come lui, i pali della luce capaci di sprigionare energia elettrica in un istante, stanno man mano lasciando spazio a punte più mobili, abili a non dare punti di riferimento ma sempre vive nel gioco. Lui invece preferisce giocare a nascondino, assentarsi per lunghi tratti dal match e poi riapparire quando la palla scotta, sbucando tra le maglie nemiche come una faina e facendosi poi cobra quando impatta la sfera, la quale finisce inesorabilmente in fondo al sacco, per la gioia di mamma Beatriz. Non una mamma qualunque, ma una vera e propria ultras che per seguire assiduamente il figlio decide di affittare un palco allo stadio tutto per sé:“In tribuna non mi piace, bisogna stare calmi, quasi ingessati. Qui possiamo fare tutto il baccano che ci va di fare”. Terminata la storia d’amore con la Juve, di cui è lo straniero più prolifico, girovaga per il globo: Hércules, Beniyas, River Plate, Newell’s e Pune City. I gol e i sorrisi contagiosi ovunque sia stato sono rimasti un’usanza impossibile da interrompere, per un solo, semplice e ovvio motivo: quando gioca, segna sempre Trezeguet, l’unico uomo che speri di pescare in area di rigore quando al 90′ stai pareggiando e sai che quella è l’ultima palla giocabile.
Articolo di: Fabio Dotti
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