Lo scorso primo aprile ero a Vercelli, inviato dal mio giornale, per seguire una delle ultime trasferte del Bari in quel campionato.
Il succo di quella partita oggi non importa più di tanto. Ma se proprio siete curiosi metteteci una squadra che fa punti solo in casa, la Pro Vercelli, e una squadra che quando va in trasferta sembra che stia cambiando sport e non vince neanche per sbaglio, il Bari, e ne esce una vittoria di 1-0 per i padroni di casa di quelle noiose noiose noiose.
Nulla di memorabile, dunque, se non fosse per una paura affiorata nel dopo-partita e accennata da un episodio accaduto al tramonto del primo tempo: Franco Brienza, trentasette anni, si avventura sulla trequarti avversaria e crolla per terra, probabilmente poggiando male la gamba su una zolla del sintetico. Dalla tribuna non sembra nulla di grave, se non fosse che lui resta giù e quando lascia il campo sulle sue gambe, si ferma un attimo a bordocampo e si guarda le ginocchia. Ha esperienza e sa che quello non è un infortunio da poco.
Quando scendiamo in sala stampa, lui sta uscendo dagli spogliatoi in stampelle e tutti i dirigenti più che lamentare la sconfitta, lamentano l’infortunio perché sanno che Brienza è l’unico in grado di spostare gli equilibri di una squadra fragile. Io lo guardo e sento dentro il presentimento di aver visto l’ultima gara ufficiale di Brienza. Il ché da una parte mi onora, dall’altro mi addolora, perché quando vedi da vicino un calciatore così talentuoso, vorresti vederlo per sempre. Vorresti vederlo per sempre perché una partita di calcio è sempre piena di tensione e spesso la tensione deriva dalla paura che il tuo giocatore possa perdere la palla. Quando la palla va a Brienza, il tuo corpo si rilassa per qualche istante. Ha la certezza che la prossima azione sarà fatta bene, ha la certezza che quella palla è al sicuro. Questa è l’unità di misura dei campioni.
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Nei giorni successivi è stata evidenziata una rottura del legamento, che alla sua età può anche significare smettere di giocare a calcio. Brienza non smette, però. Sfida se stesso e il suo corpo. Si mette sotto a lavorare e recupera per fare i play-off con la sua squadra. Peccato che la squadra senza di lui inizia a dimenticarsi di fare punti e scivola lentamente fuori dalla possibilità di fare gli spareggi, lasciando il recupero di Brienza in disparte.
Forse queste gare lasciate in sospeso lo spingono a giocare anche quest’anno (ancora con il Bari) con la sola voglia di dispensare la classe che lo contraddistingue e di raggiungere la Serie A.
Quella che Brienza ha iniziato lunedì con la numero dieci sulle spalle è la sua ventiduesima stagione da professionista e noi siamo certi che un episodio come questo possa essere un degno quadro di una carriera che non merita di essere sminuita con dei riassunti, ma col solo elogio di un talento puro che non ha mai avuto niente da invidiare agli altri. Neanche a Messi, con cui hanno trovato diversi gol simili.
Con la collaborazione di Marco Fornaro