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Storie di Bomber: Dio perdona, Riganò

calcio02/06/2017 • 21:09
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Per parlare del personaggio di oggi useremo la tecnica narrativa di quel genio di Matt Groening, uomo che potrebbe esservi più familiare sotto l’etichetta di sceneggiatore dei Simpson. Ogni puntata inizia con qualcosa che riguarda la famiglia di Springfield e poi la trama cambia completamente giro e va a parare da tutt’altra parte.
È il motivo per cui per parlare di Christian Riganò inizieremo dall’addio alla Roma di Francesco Totti. Perché ci siamo tutti emozionati davanti al suo saluto all’Olimpico? Perché bandiere così non se ne vedono più, perché ha giocato venticinque anni per una maglia e perché siamo cresciuti con lui, direte voi. Sì, ma non solo. Parliamoci chiaro: negli anni hanno lasciato il campo giocatori altrettanto meritevoli di tante lacrime come Gerrard, Zanetti, Maldini e chissà quanti altri che in questo momento non raggiungono la mia memoria. Ma non ci siamo commossi in ogni parte del mondo come ci siamo commossi per Totti. E perché, dunque? Perché con Totti ci siamo identificati.
È il motivo per cui amiamo dei film, per cui amiamo dei libri e per cui amiamo dei calciatori: perché ci identifichiamo con loro. E nella voce rotta di Totti, nelle sue pause, nei suoi passi nervosi e nelle sue lacrime nascoste dai figli, noi ci siamo identificati. Lo abbiamo fatto perché Totti si è spogliato con tutta la sua paura di invecchiare; e noi lì a rispecchiarci perché abbiamo paura dello scorrere del tempo esattamente come ce l’ha Totti, un’entità apparentemente inarrivabile che si è sempre più avvicinata a noi fino a farci sentire suoi simili.
Fine del preambolo.
Cosa c’entra tutto questo con Christian Riganò? C’entra con il processo di identificazione. Parliamoci chiaramente: Riganò è l’antidivo per eccellenza e non neghiamo che ci è sempre venuto più facile venerare uno come Totti.
E invece a noi Riganò è sempre piaciuto. Perché ha quel fisico così poco atletico e quei movimenti così poco aggraziati che non riusciamo a non sentirci vicini a lui: è l’immagine migliore di chi sognava di giocare a calcio mentre faceva il muratore, ma non ci è riuscito. Lui ce l’ha fatta perché è stato più determinato degli altri: si è messo in testa che doveva scalare le categorie, e segnare in ognuna di esse, e l’ha fatto. Non ci ha messo poco e non poteva essere altrimenti con una gavetta simile alle spalle. Parliamo di uno che in A ci è arrivato a 31 anni e con la massima serie non si è adattato presto, considerato anche il grave infortunio subito dopo 20 minuti della prima giornata, aprendo di fatto una stagione piena di problemi fisici (e collettivi, la Fiorentina si salverà all’ultima giornata con uno dei suoi quattro gol in stagione) e preludio ad una dolorosa cessione all’Empoli dopo anni di idillio al Franchi. Anche con gli azzurri solo cinque reti, un anno quasi perso e il tempo agli sgoccioli.
Qui Riganò è sulla soglia dei trentatré anni, con una buona carriera alle spalle, ma senza aver fatto il salto di qualità.
A quel punto della carriera è facile deprimersi ed eclissarsi lentamente, perché di solito se hai trentatré anni e hai cannato le prime due stagioni in Serie A, il rischio di finire nell’oblio c’è sempre; ma Riganò ha sempre avuto l’insistenza come mantra, come quando si trattava di rincorrere il sogno di lavorare come centravanti nella vita. Non come calciatore, ma come centravanti.
Riganò ha sempre avuto il gol nel sangue, tanto da realizzarne parecchi quasi contro la natura dei suoi movimenti. È sempre stato uno lucido davanti al portiere per selezionare in brevissimi istanti le opzioni per batterlo. Qui uno dei tanti esempi in cui si può vedere come sia riuscito a realizzare gol belli, pur non ricercando volontariamente il senso estetico della giocata.
È stato un ingegnere del pallone: no alle cose belle, sì alle cose che funzionano.

Riganò ha passato una vita a dimostrare e dimostrarsi di poter calarsi in ogni categoria. Ha quasi segnato trenta volte a Taranto in C1, ha preso in braccio la Fiorentina dalla C2 con 53 gol nel giro di due anni e di certo non poteva fermarsi all’ultimo scalino. E così dopo due anni balbuzienti, il primo colpo di coda della carriera lo ha dato a Messina, dove si è tolto lo sfizio di segnare diciannove reti anche in Serie A.
Tutto questo non è servito a  salvare i siciliani, ma è bastato per portarlo sul punto più alto del monte: dopo aver parallelamente accompagnato la carriera calcistica a quella da carpentiere per avere la certezza di vivere con un lavoro, è finito nel più ricco Levante per più di un milione a stagione. È qui che il bomber di Lipari ha completato la sua scalata dal basso rango calcistico a quello alto.

Ma quella che si era presentata come l’occasione della vita (in Spagna ha prodotto una tripletta e il nulla cosmico), si è trasformata nel primo passo verso il declino di una carriera decollata talmente tardi che ha fatto di tutto per non farla finire.
E qui c’è stato il secondo colpo di coda, manifesto dell’anima sportiva e umana di Riganò. Uno che ha fatto tanto per vivere di pallone e che ha deciso di continuare fino alla fine, nonostante un corpo sempre più enorme. Fosse solo per la struttura fisica, non ce l’avrebbe fatta a giocare nemmeno tra i dilettanti. Fosse solo per la mentalità, avrebbe meritato almeno altri due anni di A prolifici come quello di Messina.
Nei fatti Riganò ha percorso la scala al contrario e dopo averla salita dalla Promozione in su per dimostrare a tutti di valere tanto a Fano quanto a San Siro, ha deciso di scendere piano piano e ricominciare dai campi polverosi e dalle docce fredde.
Lui non l’ha fatto per svernare come tanti altri; lui l’ha fatto con la concentrazione di chi sa che anche a Montevarchi si può giocare con la cattiveria che ci metti in Serie A e che anche lì devi avere la voglia di segnare da terra con un pallone vagante che a quarantuno anni, in Seconda categoria, dopo una carriera del genere, potresti non aver più la voglia di calciare; ma Riganò non ha mai smesso di volerlo fare e ha sempre vissuto con quell’ossessione magnifica di sorprendere il portiere avversario con qualsiasi mezzo. Che sia anche privo di coordinazione; purché sia efficace.

Questi sono tutti i motivi per cui identifichiamo con Riganò. Perché è uno come noi, che ce l’ha fatta. E ogni tanto è bene applaudire chi è più determinato e riesce ad arrivare fino in fondo.

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Autore

Redazione

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