ESCLUSIVO – Luca Toni: “Fui vicino a Milan e Inter. Vi racconto com’è nata la mia esultanza e com’è giocare con Baggio”

calcio04/04/2020 • 17:35
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Oggi per la nostra rubrica “A Casa del Bomber” abbiamo intervistato l’ex centravanti della Nazionale Luca Toni che ci ha parlato dei suoi trascorsi a Brescia, Firenze, Roma, Torino e Monaco di Baviera. Ci ha anche raccontato alcuni aneddoti divertenti, tipo com’è nata la sua mitica esultanza e le sue prime reazioni alla canzone “Numero Uno”. Buona lettura.

Ciao Luca Toni, come va la quarantena?

“Va bene, mi sto godendo i bambini e sto facendo dei lavori a casa. Aiuto mia moglie per evitare di discutere con lei (ride, ndr). La cosa che faccio più volentieri in questo periodo è la spesa, che non l’ho mai fatta. Cosa mi manca di più? Vedere il miei genitori che abitano in un altro comune. Le nostre abitudini sono cambiate, sicuramente quando usciremo di casa avremo ancora paura, almeno fino a quando non troveranno un farmaco. Ho sentito Cannavaro e mi ha detto che in Cina ancora usano le mascherine e tengono la distanza. Ci vorrà del tempo prima di tornare alla normalità”.

Com’è nata la tua esultanza e cosa significava?

“È nata a Palermo mentre ero a cena coi compagni. Feci quel gesto per indicare una cosa molto bella e da lì quasi per scherzo ho iniziato a farla anche in campo. È bello vedere che i bambini ancora oggi esultano così”.

Un tuo ricordo sulla Fiorentina?

A Firenze c’è stata la mia consacrazione, il primo anno ho vinto la scarpa d’oro. Sono stato il primo italiano, poi l’ha vinta solo Francesco Totti. Ho fatto quasi 50 gol in 80 presenze. Sono stati anni fantastici. Firenze per me è una seconda casa, ho ricordi bellissimi”.

Com’è stato giocare con Roberto Baggio a Brescia?

“È stato il primo campione con cui ho giocato. Di lui ho sempre ammirato l’umiltà. Mi ha insegnato che bisognava fare grandi sacrifici per diventare un grande giocatore. Lui era il primo ad arrivare in allenamento e l’ultimo ad andare via, aveva un’umiltà spaventosa. Ho avuto anche la fortuna di giocare con Guardiola che arrivava da Barcellona. A fine allenamento mi proponeva di crossarmi per farmi allenare coi tiri al volo. Sono stati due grandi esempi per me”.

Un ricordo di Verona?

“Verona è stata la mia seconda giovinezza. Mi davano del fallito ma riuscivo sempre a fare tanti gol. Mandorlini e il direttore Sogliano credevano in me. Verona è simile a Firenze, piccola ma stupenda. Il tifo è impressionante, i tifosi dell’Hellas sono passionali e mi hanno dato subito tanto calore. Il primo anno feci 20 gol ma la classifica marcatori la vinse Immobile. La seconda stagione volevo vincerla e ce la feci, merito anche della squadra”.

Sei stato il primo bianconero a segnare all’Allianz Stadium

Sono stato poco alla Juve. Il primo anno ho trovato Delneri, poi arrivò Conte, un grandissimo allenatore che ha dato un’impronta vincente alla squadra. Lui non mi vedeva, voleva gente giovane ma sono contento di essere entrato nella storia della Juve grazie a quel gol, pur avendo giocato poco”.

Ricordi della Roma?

Sono stato solo 6 mesi ma sono stati mesi stupendi. Arrivai a gennaio che la squadra era sesta e alla fine sfiorammo lo scudetto. Peccato aver buttato tutto via contro la Samp che ci fece perdere lo scudetto contro l’Inter di Mourinho. Sicuramente è quello il mio più grande rimpianto, sarebbe stata una cosa pazzesca. Arrivammo secondi e l’entusiasmo era alle stelle, non immagino cosa sarebbe accaduto se avessimo vinto lo scudetto. Come dicono De Rossi e Totti, vincere uno scudetto a Roma equivale a vincerne 10 altrove”.

La tua esperienza in Bundesliga

Il Bayern Monaco come organizzazione è tra i migliori club al mondo. Scelsi di andare là per vincere subito dato che avevo 27 anni. L’allenatore Hitzfeld stravedeva per me e giocavo sempre. La squadra era forte, c’erano Klose e Ribery. Giocai subito forte forse perché non capivo nulla di tedesco e mi limitavo solo a segnare (ride). Il primo anno è stato fantastico perché ho vinto scudetto, coppa di Germania, supercoppa tedesca e classifica marcatori”.

Com’è nata quella canzone?

Quella mattina mi arrivarono migliaia di messaggi sul cellulare. La canzone è molto divertente e lui (il comico tedesco Matthias “Matze” Knop, ndr) è molto simpatico. Lo scorso inverno sono andato in montagna e nella baita la gente ascoltava quella canzone. Ovunque vado me la cantano”.

Qual era il tuo segreto sui colpi di testa?

A inizio carriera segnavo di più coi piedi. Poi a Palermo ho iniziato a segnare di testa grazie a Corini e Santana, grandi crossatori. Eugenio me la metteva sempre precisa sulla testa. Poi più segni di testa più ti vien voglia, quindi mi allenavo tanto”.

Sei mai stato vicino all’Inter?

Sono stato vicino nell’anno di calciopoli: Della Valle mi chiese di rimanere a Firenze per aiutare la squadra che partiva da -15 punti. Facemmo un patto che sarei rimasto un altro anno e poi lui in estate mi avrebbe venduto a chi volevo. Fu una grande stagione con Prandelli, Mutu e Montolivo arrivammo in Coppa Uefa. Poi a fine stagione c’erano tante squadre che mi volevano, tra tutte il Milan, ma mi ritrovai Beckenbauer e Hitzfeld sotto casa e scelsi di andare là”.

Ricordi speciali del Mondiale del 2006?

Partimmo con tanto astio intorno, i tifosi ci contestavano a Coverciano. Tornammo in Italia e ci festeggiarono con le frecce tricolore. È la magia del calcio. Eravamo un gruppo di amici, persone per bene che avevano un unico obiettivo. Inizialmente davanti all’albergo non c’erano manco i parenti, poi prima della finale vennero in 10mila a incoraggiarci. Lippi è stato fondamentale perché fin dalla prima riunione a Converciano ci disse: ‘Andiamo in Germania a vincere’. Aveva ragione”.

Come va la raccolta fondi con gli altri campioni del mondo?

Sta andando bene. È nata dalla nostra chat dove solitamente ci sfottiamo con gli altri campioni del 2006. I più permalosi? Quelli che oggi allenano”.

Hai mai pensato di fare l’allenatore?

“No, non mi sento pronto mentalmente. Ci sarebbe tanta pressione su di me e al momento non mi sento di affrontarla”.

Il gol più bello?

“Fu anche quello più strano, quando segnai in rovesciata con la maglia del Vicenza contro il Bologna. Non so neanche come feci (ride, ndr). Un attaccante deve sempre cercare la via del gol, in tutti i modi”.

È importante sentire la porta?

Certo, io non ero bravo a dribblare, ma sentivo dov’era la porta. Non essendo veloce, usavo molto il fisico per liberarmi dalla marcatura e battezzavo dove andava la palla”.

Difensore più forte che hai affrontato?

Sandro Nesta: era meno appariscente di altri ma era pulito, veloce, tecnico, forte di testa. Le aveva tutte”.

La serie A tornerà ad essere il campionato più seguito?

“Bisogna portare i campioni e quindi serve che le società diventino industrie e possano permettersi grandi investimenti. Negli anni 2000 c’erano le 7 sorelle, oggi ce ne sono un paio di società che si possono permettere i campioni. Rispetto al resto d’Europa, come in Inghilterra, in Italia siamo indietro con gli stadi e col merchandising. Bisognerebbe partire dagli stadi di proprietà. Ricordo al Bayern che a inizio secondo tempo lo stadio si svuotava perché i tifosi erano ancora a mangiare e a bere, rientravano sugli spalti intorno al 55′. Poi rimanevano allo stadio anche dopo la partita facendosi un giro tra i negozi. È importante portare le famiglie allo stadio”.

Hai convinto tu Ribery ad andare alla Fiorentina?

“Sì, lo vidi l’estate scorsa e lui mi disse che non sarebbe rimasto al Bayern. Gli dissi che a Firenze si sarebbe trovato bene sia per la città che per la tifoseria. Lui era carico e voleva fare bene, difatti così è stato. Purtroppo ha avuto un brutto infortunio ma stava recuperando”.

Secondo te riprenderà il campionato?

“La vedo dura. Non ha senso parlare di calcio oggi mentre la gente muore. Chi parla di riprendere il campionato dovrebbero farsi un giro a Bergamo dove muoiono centinaia di persone al giorno. Secondo me è una follia pensare al campionato adesso”.

Com’è nata l’amicizia con Ribery?

Quando arrivai in Germania parlavo pochissimo tedesco, mentre lui parlava solo francese. Il dialetto modenese è simile al francese, lui parlava un po’ di italiano e quindi riuscivamo a capirci. Si creò una bellissima amicizia, stavamo sempre insieme. Poi lui scartava tutti e mi dava la palla, l’ideale per me. Quel famoso spot all’Allianz dove ci prendiamo in giro è tutto spontaneo, nulla di preparato. Lui è un pazzo scatenato. A entrambi ci piace scherzare e sfottere gli altri, ma poi in campo facciamo la guerra. Con lui mi divertivo tantissimo. Oltretutto non mi pareva manco così brutto (ride, ndr)“.

Al posto di Pippo Inzaghi avresti passato la palla a Barone in quella famosa gara contro la Repubblica Ceca nel 2006?

Lui se l’è rischiata, meno male che ha segnato”.

Vuoi mandare un messaggio a chi ti sta ascoltando?

“State a casa se no si allungano i tempi di quarantena. Se le rispettiamo tutti, tra un mesetto ci ritroveremo ad uscire di casa”.

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