Troise, vice di Cannavaro all'Uzbekistan: "La Serie A all'estero è ancora molto seguita. La battuta di Gattuso? Ecco cosa ci siamo detti"

Intervenuto a Mundialito, in onda su Sportitalia e sul canale Youtube di Chiamarsi Bomber, Francesco Troise, vice di Fabio Cannavaro, ha fatto il punto sulla nuova esperienza sulla panchina dell'Uzbekistan
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Ospite della sesta puntata di Mundialito, format nato dalla collaborazione tra Sportitalia e Chiamarsi Bomber, Francesco Troise, vice allenatore dell'Uzbekistan. Dal Mondiale ai giovani, passando per il calcio di strada con un focus sul calcio estero, diversi gli argomenti analizzati dal vice di Fabio Cannavaro.

L'approdo sulla panchina della nazionale uzbeka

"Al momento procede molto bene, siamo qui dal 6 ottobre e stiamo lavorando tantissimo. Siamo arrivati in un momento particolare, la qualificazione al Mondiale era già arrivata ma c'erano tante situazioni da mettere a posto: dal conoscere i giocatori al monitorare tutto quello che riguarda il movimento calcistico uzbeko. La Federazione sta lavorando in un modo incredibile: c'è un'ottima organizzazione e si respira grande attaccamento alla Nazionale".

La battuta di Gattuso a Cannavaro "Gli ho detto che ha culo, lui è già al Mondiale con l'Uzbekistan", come è stata presa?

"È una battuta che è stata presa con il sorriso, allenare la nazionale italiana ha un valore inestimabile. Chiaramente facciamo tutti il tifo per l'Italia e ci auguriamo che Gattuso possa raggiungere l'obiettivo della qualificazione al Mondiale. Al tempo stesso il nostro auspicio è quello di fare un grande Mondiale con l'Uzbekistan".

L'approccio con i calciatori

"C'è una frase che mi è rimasta impressa: pensiamo all'altezza e alla fisicità quando la tecnica non è abbastanza. Per esempio, nessuno ha mai chiesto a campioni come Baggio e Zola di aumentare l'intensità. Se ancora in Italia si continua a puntare sulla fisicità e sulla struttura fisica, è solo perché fino ad oggi non sono emersi talenti di qualità sopraffina in grado di superare le difficoltà dettate dall'intensità del gioco. Quali differenze ci sono tra i vari campionati in giro per il mondo? Le differenze maggiori le ho notate in Arabia Saudita (collaboratore tecnico di Cannavaro all'Al-Nassr nella stagione 2015-2016, ndr). In quel momento era ancora un movimento in fase di crescita, non c'era il livello di oggi e la più grande difficoltà riguardava la metodologia di lavoro. I calciatori non potevano allenarsi la mattina a causa del caldo: la nostra sfida è stata quella di avvicinarci alle loro abitudini e di conferire loro quella professionalità che gli consentisse di raggiungere gli  obiettivi. In Cina siamo riusciti a vincere trofei importanti: anche in quel contesto abbiamo trovato delle difficoltà, ma la grande volontà dei calciatori unita a una figura come quella di Cannavaro ha velocizzato il processo. Credo che il valore aggiunto di uno staff, quando sia allena in giro per il mondo, sia la capacità di adattarsi velocemente a un nuovo contesto e a una nuova cultura senza stravolgere le dinamiche esistenti".

L'evoluzione della Saudi League

"Io ho visto nascere questo progetto e già si intravedeva la voglia di portare in Arabia Saudita grandi campioni e grandi allenatori per cercare di alzare il livello di quel calcio. Ho notato, in questo senso, che i giocatori di spessore internazionale arrivati in quel contesto hanno avuto un approccio positivo e sono felici di misurarsi con una dimensione calcistica diversa. Non credo si tratti solo dell'aspetto economico, la Saudi League è un campionato molto competitivo e riesce a soddisfare anche le esigenze di campo dei giocatori. In Cina questo progetto è stato abbandonato a causa del mancato raggiungimento del Mondiale, mentre in Arabia Saudita questa scommessa è stata vinta. Il movimento funziona nel migliore dei modi e i calciatori si divertono e ottengono risultati".

La figura di Cannavaro

"In tema di Mondiali, quello del 1982 mi è rimasto maggiormente impresso perché è coinciso con il momento in cui ho iniziato a seguire il calcio in un certo modo. Inoltre, era l'occasione per vedere giocare Maradona. Poi l'Italia ha iniziato a vincere ed è stata una grandissima emozione. Naturalmente, non posso non parlare anche del Mondiale 2006: a Fabio Cannavaro mi lega un'amicizia che dura da oltre 40 anni e, quando l'ho visto giocare quel Mondiale da protagonista e trascinare l'Italia alla vittoria finale, è stato un grandissimo orgoglio".

La gestione dei giovani talenti

"In Cina ho avuto la fortuna di allenare un grande talento come Alexandre Pato, che, nonostante una grande carriera, avrebbe potuto fare molto di più. I giovani talenti hanno quella spensieratezza che li porta ad avere atteggiamenti talvolta discutibili, come nel caso della provocazione di Yamal al Real Madrid prima del Clasico o dello sfogo di Vinicius dopo la sostituzione. Yamal gioca con una semplicità disarmante, senza sentire il peso di quello che fa, e magari questa spensieratezza lo induce a lasciarsi andare a quel tipo di dichiarazioni".

Il rinnovo di Messi con l'Inter Miami

"Messi è uno dei più grandi calciatori della storia e, ancora oggi, riesce a giocare con un entusiasmo incredibile. Credo che abbia ancora voglia di giocare, di divertirsi e di sentirsi Messi. Quando appendi gli scarpini al chiodo dentro di te muore qualcosa: l'abbiamo visto con Totti, De Rossi e altri campioni del passato. A Miami ha trovato il suo equilibrio in un contesto meno stressante, che gli consente di stare bene e di fare quello che gli piace".

L'internazionalizzazione del tifo: il caso di Milan-Como

"Credo che sia giusto che una squadra giochi nel suo stadio davanti ai propri tifosi, ma oggi il mondo è globalizzato e ci sono altri motori che muovono il calcio, a partire dalle sponsorizzazioni. Girando il mondo, mi sono reso conto che la Serie A è ancora uno dei campionati più seguiti e non ha perso tutto il suo valore come spesso si pensa. Siamo noi, probabilmente, che non riusciamo a dargli la giusta importanza, forse perché siamo troppo critici. In Italia bisognerebbe sicuramente lavorare meglio con i giovani, facendoli crescere e lasciandoli liberi di sbagliare".

Il calcio di strada

"Una volta i primi passi si muovevano giocando per strada: in quel modo si annullava, per esempio, il gap relativo all'età tra un ragazzo di 11 anni e uno di 14. Oggi, quando c'è un giocatore di talento, arriva fino alla prima squadra ma poi non gioca. Il motivo è riconducibile al fatto che si cerca sempre di arrivare al risultato attraverso delle certezze. Oggi gli allenatori hanno poca possibilità di sbagliare, perché appena arrivano i momenti di crisi in termini di risultati, la panchina inizia a traballare: quindi sono portati a schierare giocatori che gli diano maggiori certezze piuttosto che rischiare con i giovani. All'estero questo non succede: le squadre puntano tanto sui giovani e questa filosofia è ormai radicata. Si tratta di uno step di crescita che deve partire dai club, non dagli allenatori".

Stefano Ferrera
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