Ci sono storie che sembrano scritte dal destino, e quella che lega Luka Modrić al Milan appartiene senza dubbio a questa categoria. L’anticipazione dell’intervista rilasciata dal fuoriclasse croato al Corriere della Sera, campeggiata in prima pagina, non è soltanto un racconto sportivo, ma un viaggio intimo tra infanzia, sogni, traumi e scelte che hanno segnato una delle carriere più luminose del calcio mondiale. “Da bambino giocavo con la maglia del Milan”, confessa Modrić, aprendo uno squarcio emotivo che va ben oltre l’attualità rossonera.
Il ricordo del nonno
Per Modrić, il Milan non è mai stato un club qualsiasi. È stato il simbolo di un sogno coltivato in un’infanzia difficile, segnata dalla guerra nei Balcani e da una ferita mai rimarginata: l’uccisione del nonno, evento che ha segnato profondamente la sua famiglia e la sua crescita. Il centrocampista croato ricordandolo, racconta di avere un sogno: “Vorrei ricomprare la sua casa“.
In quell’epoca complessa, il calcio diventava rifugio e speranza, e il Milan rappresentava l’eccellenza, la bellezza del gioco, l’orizzonte a cui guardare per evadere da una realtà durissima. Non a caso, l’idolo assoluto di Modrić era Zvonimir Boban, capitano della Croazia capace di sfiorare l’impresa al Mondiale di Francia ’98 e simbolo di orgoglio nazionale. Boban e il Milan erano un tutt’uno, e per un bambino croato significavano identità, riscatto, appartenenza.

Modric e il Milan nel destino
Un legame che parte da lontano
“La vita ti sorprende sempre”, dice oggi Modrić con la lucidità di chi ha vissuto tutto. Pallone d’Oro, leggenda del Real Madrid, leader silenzioso e rispettato ovunque abbia giocato, Luka era convinto di chiudere la carriera in maglia blanca. E invece il calcio, ancora una volta, ha scelto per lui una strada diversa. Una strada che lo ha riportato a quel sogno infantile, a quella maglia rossonera indossata da bambino quasi per gioco, diventata oggi realtà a San Siro.
C’è però un aspetto che colpisce più di ogni altro nelle sue parole: la fame. Modrić non arriva al Milan per svernare o per celebrare un finale romantico di carriera. “Sono qui per vincere”, afferma senza esitazioni. Un messaggio chiaro, potente, che risuona come un manifesto. Quando gli viene chiesto se lo scudetto sia possibile, la risposta è perfettamente in linea con la sua mentalità: al Milan si deve giocare sempre per vincere, solo per vincere. Anche subito. Senza proclami, senza illusioni, ma con la consapevolezza che nel calcio nulla è precluso se si resta concentrati sul presente. “Se cominci a programmare a distanza di mesi, ti perdi”, spiega, ribadendo un principio che ha guidato tutta la sua carriera: pensare partita per partita.














