Clamorosa rivelazione di Carraro: "Calciopoli nata per un mio errore"

Franco Carraro, ex presidente FIGC, riflette sull'errore politico che, nel 2004, scatenò Calciopoli. Decise di sostituire Bergamo e Pairetto come designatori arbitrali, ma Collina rifiutò. Tale scelta innescò una crisi che coinvolse il Milan e Luciano Moggi, segnando il calcio italiano. Rimpianto e lezioni apprese
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L'intervista a Franco Carraro rilasciata a La Gazzetta dello Sport risveglia ricordi e dolori mai sopiti legati alla controversa vicenda di Calciopoli. Nonostante l'assoluzione dai capi d'accusa giudiziari, l'ex Presidente della FIGC non nasconde l'amarezza per quello che considera un errore politico che ha favorito il perpetuarsi di una situazione esplosiva e infine deflagrata.

Riflessioni su un errore politico

Carraro riflette su una decisione presa nel 2004, rivela: "Pensai che Bergamo e Pairetto non potessero più essere designatori arbitrali, non perché avessero fatto male, ma perché certe posizioni ogni tanto per me vanno cambiate". L'affidamento del ruolo di designatore arbitrale a Pierluigi Collina, all'epoca freschissimo di dimissioni dal campo, sembrava per Carraro la scelta giusta. Tuttavia, l'iconico arbitro declinò l'offerta per continuare il suo impegno sul campo.

Il retroscena eclatante

In uno scenario che sembra uscire direttamente da un film di intrighi, Carraro rivela come Collina parlò della sua offerta a Meani, l'addetto agli arbitri del Milan. Il resto è storia: *Meani riferì ai designatori Bergamo e Pairetto, che si sentirono minacciati e cercarono l'appoggio di Luciano Moggi per mantenere il loro potere*. Quello che doveva essere un delicato giro di poltrone, si trasformò così in una crisi dalle conseguenze devastanti per il calcio italiano.

Un rimpianto che pesa

Carraro riflette amaramente su quell'errore di valutazione: "Ho sbagliato, avrei dovuto cambiarli comunque". Queste parole lasciano trasparire un rimpianto che ha continuato a riecheggiare per molti anni nella sua mente e nel mondo del calcio. Anche dopo l'assoluzione, il pensiero di come la sua innocua intenzione di cambiare abbia innescato una catena di eventi percettiva senza ritorno rimane una ferita aperta.

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