Passi al volo al bar, stai rientrando a casa in una delle prime serate che ti ricordano che l’estate è finita. Tira un’aria diversa, fa freddo ma non troppo. Sei riuscito ad organizzare un aperitivo strappando una mezz’ora qua e là mentre il weekend è tanto vicino quanto lontano. Al bancone ti aspetta un amico con cui hai condiviso mille battaglie, un centinaio di recinzioni scavalcate e chissà quante presenze nelle giovanili. Quando ancora il borsone no nera così pesante e a lavarlo ci pensava sempre qualcun’altro.
Hai smesso di giocare: il ginocchio ha visto periodi migliori, il tempo è sempre più risicato e la birra si è mangiata quel poco di forma fisica residua.
Ma lui no, ad attenderti al bancone c’è chi non ha ancora deciso di appendere le scarpette al chiodo. Di chiudere una volta per tutte il borsone e lasciarselo alle spalle nel buio della cantina.
Anche quest’anno ha deciso di dare calci ad un pallone. Di non rinunciare a novanta minuti più recupero. Dimenticandosi della categoria, fregandosene di non essere più in lotta per una promozione in Seconda o una salvezza in Prima.
Senza categoria. Con giusto un allenamento sulle spalle, sempre se si fa in tempo – e la voglia non manca – a farlo. Magari con una sigaretta accesa prima dell’allenamento ed un’altra appena fatta la doccia, sperando che l’acqua calda arrivi prima che faccia notte.
Senza categoria. Ma non chiamateli amatori. Sanno bene che i bei tempi sono ormai distanti. Bei tempi che calcisticamente parlando magari non sono mai arrivati. Con quel talento che è sfiorito tra i Primi Calci ed i Pulcini e quel sinistro che non è mai stato memorabile, anzi.
Eppure di rinunciare a quel pallone proprio non ne hanno intenzione. Corrono e quando non ne hanno più usano le cattive. Per ogni scarpata che si dà ce ne sono almeno due in cambio. Ma non si molla, si prova a restare in piedi nonostante una resistenza che basta giusto per evitare di svenire a fine primo tempo. Magari in una serata della settimana dove sul campo ci sono giusto ventidue giocatori, una manciata di panchinari, l’arbitro ed il custode che chiude il cancello quando tutto è finito. E magari è arrivata l’acqua è calda.
L’amico dopo uno spritz – facciamo due – ti saluta. Stasera gioca, o dovrebbe farlo. E’ stanco ma allo stesso tempo carico come una molla. Non vuole mancare a quella partita che non ha niente da dire, se non per qualche botta alla caviglia che ancora fa male. Se ne frega della categoria, vuole semplicemente giocare. Ma non chiamarlo amatore.