Quando ero bambino la cosa che più mi stupiva degli adulti era quel loro modo un po’ ossessivo e sognante di ricordare le squadre che avevano vinto in passato, ripetendo a memoria la formazione in rigoroso ordine di ruolo. Gli parli dell’Italia del 1982 e loro sanno solo risponderti: Zoff, Bergomi, Cabrini, Gentile, Scirea (…)
Lo facevano per i club che amavano, per le formazioni che sono rimaste nella loro mente. Che fosse la Juve, l’Inter o il Taranto di Iacovone. Oggi è un gesto che di solito si fa per ricordare un Mondiale, d’altronde è l’unico momento che si ha per fotografare davvero una squadra e lasciare che sia quella a far parte di un ricordo. Ma oggi le squadre cambiano troppi giocatori per poterle memorizzare così, con un undici prestabilito. E anche dove la stagione da inquadrare è una sola, è sempre più difficile formulare una formazione titolare unica e incontestabile. Sapreste dirmi quella della Juve di quest’anno? Io a stento riesco a dirvi se Dybala sia stato o no un titolare.
E così è un gesto che dopo un Buffon, Zambrotta, Cannavaro, Materazzi, Grosso (…) ho potuto ripetere raramente nella mia vita. E un po’ ne sento la mancanza, perché è una di quelle cose che reciti come le poesie e ogni nome che tocchi è un’emozione diversa, un ricordo di quel pezzetto di cammino per cui hai goduto.
Esempio 2006. Buffon: le parate su Zidane. Zambrotta: il palo con la Germania. Cannavaro: Caressa che fa Cannavaro. Materazzi: la testata. Grosso: abbracci a gente sconosciuta, delirio totale.
Tutto questa premessa per dire una cosa che non c’entra niente con i Mondiali, e cioè che Sarri lascia il Napoli in tempo per permetterci di tenere la fotografia. Reina, Hysaj, Albiol, Koulibaly, Ghoulam; Allan, Jorginho, Hamsik; Callejon, Mertens, Insigne. Non fosse per un Higuain che è passato di mezzo, in tre anni Sarri – tra le tante cose che ha creato – ha creato un ricordo. Un ricordo di una squadra che è quella, nella sua versione definitiva. Forse non ancora quella vincente (ma è pure l’unica squadra che superando i 90 punti non è riuscita a vincere il campionato nella storia del gioco italiano), ma è definitivamente il Napoli di Sarri che ha avuto un inizio e una fine con gli stessi uomini.
Con le sue controversie, con il suo bel gioco, con le sue manie, ma è il Napoli di Sarri.
Mesi fa lo si paragonò all’Olanda del 1974, una squadra bellissima che però è arrivata a tanto così dal traguardo senza superarlo. Però l’Olanda è passata alla storia, e non è un fatto di poco conto perché è molto raro passare alla storia senza sedersi sull’albo d’oro a imbrattare il proprio nome.
Sarri è passato alla storia con il suo Napoli, lo ha appena fatto. Lo ha fatto lottando contro degli alieni attraverso la forza della bellezza, del gioco, dell’armonia. Pedine che si muovevano a memoria: ogni giocatore sapeva sempre cosa avrebbero fatto gli altri. Segnare solo dopo che tutti avevano toccato il pallone è diventata la normalità per una squadra che pur andando oltre le proprie possibilità alla fine si è dovuta arrendere.
Sembra quasi giusto e naturale che adesso Sarri saluti, perché il patto-Scudetto è fallito e quella costruzione che l’allenatore ha messo appunto sta per essere smontata. Quello di Ancelotti sarà un altro Napoli. Magari più forte. Magari Sarri lo avrebbe rimontato al meglio. Ma il suo addio ci lascia una fotografia simile al mondo degli adulti. Anche noi tra trenta-quarant’anni, quando dei bambini ci chiederanno del Napoli di Sarri, potremmo iniziare rispondendo come non ci capitava da tempo con un semplice: Reina, Hysaj, Albiol, Koulibaly e non smettere.