Juventus-Udinese è una di quelle partite che, per chi tifoso non è, si guarda e non si guarda. Un occhio allo schermo appeso nel pub, un altro a WhatsApp e magari al tavolo di fianco dove c’è quella ragazza che hai già visto in giro ma di cui proprio non ti ricordi il nome. Juventus-Udinese è quella partita di cui dai per scontato il risultato considerando la differenza di valori in campo e la partenza stentata degli ospiti. Che però hanno appena cambiato allenatore e – forse forse – mentalità.
Basta un tiro da fuori: Jankto calcia, Buffon non risponde al meglio. E il pallone si insacca nel fondo della rete. L’Udinese è in vantaggio, nessun risultato è ormai più scontato in quei novanta minuti. E la Juventus è costretta ad inseguire, a rimettere le cose a posto.
In avanti ci sono Dybala e Mandzukic. Che dopo i ruggiti in nazionale pare quasi un gatto spennacchiato e spaesato nel sabato sera dello Stadium.
Al minuto quarantatré – proprio quando un’altra birra sta arrivando al tavolo – c’è una punizione dal limite a favore della Juventus. Qualcuno, come al solito, ironizza sul fatto che Pirlo ormai abbia smesso. Sulla sfera va Paulo Dybala. Non sei tifoso della Juve, nemmeno dell’Udinese. Ma in quel preciso istante ti viene da pensare: «vedrai che la piazza». Parte il tiro, Karnezis vola ma proprio non ci può arrivare.
Dybala appena vede il pallone insaccarsi in rete esulta. Corre verso la panchina della sua squadra dove c’è Leonardo Bonucci. E’ strano vedere un difensore così forte seduto tra i rincalzi. Ma quando fuori dal campo ti piombano addosso momenti assurdi e ci sono ben altre partite da affrontare, anche i migliori hanno semplicemente la testa lontana da quel rettangolo di gioco.
Tutti si alzano in piedi. Dybala raggiunge Bonucci e lo abbraccia. Lo stringe e gli sussurra qualche parola all’orecchio. Parole che non arrivano al microfono ma ad un amico. Ad un compagno di squadra che non sta passando un momento facile, tutt’altro.
Un abbraccio lungo soltanto qualche secondo. Alcuni secondi in cui lo sguardo fatica a staccarsi dallo schermo. Quasi come se – al di là di colori e tifo – si volesse dire qualcosa a Bonucci. Come se si volesse rassicurare un compagno nella squadra di Terza che giocherà nel pomeriggio. E che è distante dalla luce dei riflettori e dall’attenzione mediatica dei giornali.
Un abbraccio che per qualche lungo secondo fa fare pace con il pallone. E che vale più del gol del pareggio. E pure del secondo che regala una vittoria in rimonta alla Juventus. Non c’è nulla di scontato in quell’abbraccio che trasforma calciatori professionisti in uomini.
Persone normali a caccia della normalità.