“Guarda qui che cicatrice mi sono fatto. Me lo ricordo ancora, il profumo del pane mi piaceva da matti. Il problema è che piaceva anche a lui, al cane gigantesco che comincia a rincorrermi. Ero soltanto un bambino, ho iniziato a correre quel giorno e non mi sono fermato più. Io andavo avanti per quella strada piena di polvere, scalzo e con il sacchetto di pane in mano, e le poche monete di resto. L’ho seminato il disgraziato, ma ho colpito in pieno un palo di ferro che spuntava da non so dove. Le strade di Nkon non sono mica perfette come il Camp nou o San Siro”.
Correre è stato il filo conduttore della sua esistenza. Da piccolo il premio della sua corsa era il pane, poi negli anni per correre è arrivato a ricevere 20,5 milioni di euro.
Ha toccato con mano due estremi molto distanti tra loro, ciò che gli ha permesso di raggiungere due distanze così lontane è stata la voglia di arrivare che solo uno nato in un continente come l’Africa può avere.
Cresciuto nel nulla, tra polvere e povertà, tra una corsa per scappare dai cani ad un’altra per inseguire il pallone. In mezzo a tutto questo c’era il suo sogno, diventare un calciatore.
A quindici anni viene acquistato dal Real Madrid, dove incontra il suo idolo, Raul.
Alla guida dei blancos c’era Fabio Capello, che gli permise di allenarsi con la prima squadra, Samuel lo salutava con un inchino. L’allenatore italiano gli disse che gli ricordava George Weah e che avrebbe dovuto allenarsi di più, doveva fare doppie sedute perché non calciava bene. Il ragazzo prese alla lettera queste parole e incominciò ad allenarsi sui tiri, ogni giorno; se c’era solo la seduta del mattino Samuel restava in campo anche al pomeriggio.
Calciava, calciava e calciava. Quelle fatiche saranno poi ripagate durante la sua carriera. La sua avventura a Madrid non è di certo da ricordare, le presenze sono pochissime e non arriva nessun gol. Vogliono venderlo, mandarlo dove vogliono senza chiedergli niente, ma lui non ci sta. È uno tosto Samuel, è uno che non si fa mettere in piedi in testa neanche dal Real Madrid. Non accetta di andare al Deportivo la Coruna, sceglie Maiorca. Sarà l’incubo dei blancos, ogni volta che incontrerà la sua ex squara Eto’o farà danni.
A Maiorca incontra quello che lui considera un Dio, l’allenatore Luis Aragones. Un padre putativo, uno che si conquista la fiducia del giovane ragazzo a suon di bastoni e carote.
Quando c’era da sgridarlo lo sgridava, ma poco dopo gli dimostrava tutto l’affetto che provava per lui.
“Mi ha amato, non solo come un giocatore, ma come un figlio”. A Maiorca arriva il primo trofeo per il camerunense, la coppa del Re, con una doppietta in finale. Gli piaceva stare a Maiorca perché non c’era pressione, poteva andare al supermercato e scherzare tranquillamente con la commessa, ma era arrivato il momento di fare il salto di qualità, di dimostrare agli altri come si gioca sotto pressione. È proprio il suo amato allenatore a consigliare ai dirigenti del Barcellona l’acquisto di Samuel.
“Volete vincere nei prossimi anni? Io ho il giocatore che fa per voi”.
Nell’estate del 2004 Eto’o è un giocatore del Barcellona, si presenta subito vincendo la Liga. È il Barcellona di Rijkaard, del 4-3-3, con davanti Ronaldinho – Eto’o e il terzo non è mai importante, visto che bastano loro due. Si trovano, sia in campo che fuori, sono affiatati, forti e veloci. Distruggono le difese spagnole e quelle europee.
Due anni dopo arriva finalmente l’occasione di dimostrare ai suoi colleghi come si gestisce la tensione delle gare importanti.
17 maggio 2006, a Parigi a contendersi la coppa dalle grandi orecchie ci sono Barcellona e Arsenal. I londinesi si portano in vantaggio nel primo tempo, nonostante l’inferiorità numerica resistono fino al 76’ minuto, quando è proprio Samuel, con un destro sul primo palo, a dare il via alla rimonta blaugrana. Quattro minuti dopo sarà Belletti a firmare il 2 a 1. Gol in finale, una costante nella carriera di Eto’o.
Nel 2008 alla guida della squadra catalana arriva Guardiola, dopo aver fatto cedere sia Ronaldinho che Deco, risulta chiaro che il camerunense non rientra al centro del progetto.
Ma Samuel non sa perdere, dopo essersi sorbito una lezione tattica di come bisogna attaccare dal neo allenatore, gli risponde a tono:
“Tu sei stato un centrocampista, neanche uno dei migliori e mi vieni a parlare a me di come si attacca?”.
Non sarà di certo il preferito di Pep, ma Eto’o gioca e ovviamente risulta decisivo. È subito triplete e in finale naturalmente segna Samuel. È lui ad aprire le danze a Roma contro i red devils, con un tiro di punta che si insacca dietro le spalle di Van der Sar.
Due finali di Champions giocate, due finali vinte, due gol segnati.
Samuel ringrazia e capisce che la stagione successiva la passerà altrove. Di certo non si immagina con la maglia nero azzurra. In una giornata di quell’estate riceve un messaggio da un numero sconosciuto:
“Sei il miglior attaccante del mondo. Questa è una grande famiglia. Sarebbe bello se tu venissi nella nostra famiglia perché sei il migliore. Sarebbe davvero un piacere giocare con te”.
Il numero è di Marco Materazzi.
Muorinho lo chiama e gli chiede che numero di maglia vuole, “La numero nove va bene?”.
È fatta, Samuel Eto’o è un giocatore dell’Inter. Ma questo non è tutto, i dirigenti nero azzurri non si rendono conto dell’affare che hanno appena concluso. Samuel entra nella trattativa che vede la cessione di Zlatan Ibrahimovic al Barcellona, pagato 50 milioni più il cartellino del camerunense. Il miglior colpo della storia dell’Inter.
Lo svedese sceglie i blaugrana per vincere la Champions, i destini delle due squadre si incroceranno e ad avere la meglio sarà proprio Eto’o. Il primo a gioire per la sua partenza è Iker Casillas, “da un lato sono felice che Eto’o sia andato in Italia, per me era un incubo”.
È il giocatore ideale per lo special One, “È un uomo-squadra, che è la cosa più importante. C’è bisogno di difendere? Lui lo fa. Bisogna attaccare? Lui lo fa”.
E’ una stagione pazzesca quella della squadra di Mourinho, irripetibile, suggellata da un triplete da sogno.
Il camerunense è uno dei più decisivi di quella cavalcata trionfale, insieme a Milito formano una coppia mostruosa che nessuno è in grado di fermare.
L’allenatore portoghese lo inventa come esterno sinistro nel 4-2-3-1, da quella posizione punisce il Chelsea negli ottavi di finale; a Barcellona dopo l’espulsione di Thiago Motta si trasforma praticamente in un terzino e in finale si danna l’anima fino all’ultimo secondo. Tre finali di Champions, tre vittorie. A Madrid non segna, basta la doppietta di Milito. L’unico giocatore al mondo ad aver vinto per due volte il triplete.
Ancora un anno in nero azzurro per poi salutare Milano e andare a giocare nell’Anzhi Makhachkala, dove guadagna 20,5 milioni a stagione.
“Sono venuto qui perché credo nel progetto”. E sì certo. Cosa saranno mai tutti quei soldi?
Trascorre due stagioni in Russia, segna 36 gol e guadagna giusto qualche soldino. Poi passa al Chelsea dove ritrova Mourinho, il portoghese lo bolla come “vecchio” e lui risponde segnando e imitando la camminata di un anziano. L’anno successivo veste la maglia dell’Everton, poi il ritorno in Italia, a Genova sponda blu cerchiata. Giusto in tempo per mostrare a Mihajlovic il suo carattere fumantino e complimentarsi con Sarri per il gioco espresso dall’Empoli.
Ora si trova in Turchia, dove oltre a giocare come capitano fa anche l’allenatore. Il palmares del ragazzo parla chiaro, nella sua bacheca c’è tutto.
Il finalizzatore ideale per qualsiasi squadra, agile, veloce, dotato di un’ottima forza fisica, nonostante una struttura corporea non imponente. Capace di utilizzare entrambi i piedi, in grado di segnare sia da rapinatore d’area, sia partendo da lontano. Dotato di un ottimo senso tattico, che gli ha permesso di giocare anche più indietro rispetto al suo ruolo naturale. Bravo anche nell’uno contro uno, la sua velocità di esecuzione gli ha consentito di mettere in difficoltà chiunque.
“Solo giocando contro di lui mi viene il mal di testa” Thiago Silva.
La sua miglior caratteristica è stata sicuramente la capacità di essere decisivo nei momenti importanti. Ha avuto un vero e proprio rapporto d’amore con le finali, 11 giocate e 15 gol realizzati. Sono numeri mostruosi.
E’ stato un leone anche fuori dal campo, soprattutto nella lotta contro il razzismo, l’episodio più famoso risale a quando era in forza ai blaugrana.
In un Real Saragozza-Barcellona del 2006, ad ogni suo tocco di palla alcuni tifosi della squadra di casa iniziarono ad imitare il verso della scimmia. Samuel dopo un po’ non riuscì a reggere l’offesa e cercò di abbandonare il campo. Prima di farlo però, si girò verso i tifosi e indicò la pelle di Alvaro (giocatore del Real Saragozza) come per dire,
“non vedete che abbiamo la pelle dello stesso colore?”.
Accorsero tutti, gli avversari, l’arbitro, i suoi compagni e l’allenatore Rijkaard. Riuscirono a convincerlo a restare in campo, non doveva darla vinta ad un gruppo di ignoranti.
Si è sempre fatto rispettare, non ha mai abbassato la testa di fronte a nessuno. Non si è mai tirato indietro neanche se si trattava di mostrare la sua vita lussuosa. Quando arrivò a Milano, comprò una casa di mille metri quadri, di fronte alla sede del Milan. Ci fece subito costruire una piscina. Sempre a Milano i paparazzi lo immortalarono mentre litigava con una vigilessa per una multa. Un divieto di sosta non rispettato, costo della contravvenzione? 38 euro. Chissà che fatica a pagarla..
Durante l’ultimo mondiale brasiliano scelse di soggiornare in una lussuosa suite da 193mq attrezzata con piscina privata, jacuzzi, terrazza vista mare, palestra pesi e una sala cinema. A Mosca soggiornò in una casa da 80mila euro al mese. Va matto per le macchine sportive e per la Coca Cola con ghiaccio e limone, almeno tre al giorno.
Ha cercato il lusso sin da piccolo, quando si faceva tre docce bollenti in un giorno, voleva stare comodo. Ci è riuscito.
“Correrò come un negro per guadagnare come un bianco”. Samuel Eto’o.
Articolo di: Gezim Qadraku
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