Prima, seconda o terza elementare poco importa. Quando si inizia a prendere a calci un pallone è già chiaro dalla scelta dei componenti della squadra per l’ora di ginnastica chi sarà destinato ad essere uno “buono”. Una cosa è altrettanto certa: se nella classe ci fosse stato, per qualche strano scherzo della geografia, qualcuno delle Samoa Americane, quasi certamente sarebbe rimasto solo in attesa dell’ultima chiamata. Quella che il capitano della squadra fa quasi con pietà.
Sì, perché le Samoa Americane non sono certo un paese di calciatori. Nel piccolo arcipelago disperso nell’Oceano Pacifico meridionale, a qualche migliaio di chilometri dall’Australia, si nasconde infatti una delle nazionali di calcio peggiori del ranking FIFA, uno di quegli undici che farebbe venire l’orticaria anche ai migliori videogamer. Siamo nel 2001 e la posizione delle Samoa è la numero 203, l’ultima disponibile nel tabellone. Il mondiale di Giappone e Corea, quello di Ahn e dell’arbitro Moreno, è vicino. Le qualificazioni nel vivo. Le Samoa Americane se la giocano nel girone dell’Oceania, non potrebbe essere altrimenti. C’è però un piccolo particolare: non sono solo i chilometri a separare l’arcipelago dalla terra dei canguri ma soprattutto l’abilità con tacchetti e pallone.
11 aprile 2001: va in scena Australia-Samoa Americane. Una vittoria delle Samoa Americane probabilmente viene quotata come “valore del Barcellona:1”. Il mister samoano, Tunoa Lui, la sera prima della partita rivolge al cielo una preghiera, quella di non subire uno scarto troppo grande. Probabilmente lassù qualcuno ha giocato un over piuttosto pesante tanto che dopo diciassette minuti di partita il risultato è già sul 5-0. Come fare una partita a FIFA con difficoltà Pulcini senza la regola del fuorigioco. In porta gioca un certo Nicky Salapu: uno di quelli che nei tornei parrocchiali giocherebbe in una delle squadre più scarse. La sua resistenza dura dodici minuti poi la difesa, composta anche da giocatori appena diciottenni, sbanda completamente. Gli australiani quasi si fanno beffe dei samoani, soprattutto quando Archie Thompson scopre di poter entrare nel Guinness dei Primati come miglior realizzatore in partite internazionali. A fine primo tempo il punteggio è di 15-0 e Thompson ha già in tasca 8 gol: l’utopia di ogni fantacalcista.
In prima, seconda o terza elementare ci si può appellare al “cambiamo le squadre” davanti ad una situazione di squilibrio imbarazzante, secondo la FIFA invece non è semplicemente possibile prestare tre o quattro australiani alle Samoa. La squadra di Lui prova anche a chiedere “pietà” ma Thompson ha il record nel mirino e il mister australiano Farina non vuole fare sconti. Salapu raccoglierà la palla in fondo al sacco per 31 volte. Trentuno. Una situazione che a scuola avrebbe causato pianti a dirotto e sfottò del bulletto della classe con la maglia originale di Savicevic. Soltanto dopo quel punteggio imbarazzante la FIFA si accorse che l’Australia avrebbe forse dovuto vedersela con avversarie di un calibro diverso tanto che, nelle successive qualificazioni ai Mondiali 2006, fu inserita nella Confederazione Asiatica.
Ma torniamo alle Samoa, a quell’arcipelago che sulle cartine geografiche quasi non si vede. Quell’arcipelago che, dopo la peggiore sconfitta della storia delle nazionali maggiori, pianse lacrime amare. Lacrime che però non furono vane. Dopo dieci anni infatti, il 22 novembre 2011, le Samoa Americane vincono la loro prima partita ufficiale. Dopo trenta sconfitte consecutive, una differenza reti di -217, Tonga è sconfitta per 2-1. Perché non importa che tu sia in prima, seconda o terza elementare. O magari un nazionale samoano. Quando si vince contro tutti i pronostici non c’è bulletto che tenga, non c’è nessuna Australia che ha in mano il pallottoliere. Ed è proprio allora che ti accorgi che una vittoria di misura vale molto di più di una serie infinita di sconfitte brucianti.
Articolo di: Nicolò Premoli
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