Il lungo calvario dell'ex Serie A: dalle 14 operazioni al ritiro dal calcio a soli 30 anni

Dai primi passi nella massima divisione italiana fino ad arrivare a una decisione sofferta ma necessaria. Il racconto in un'intervista concessa a La Gazzetta dello Sport
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La sveglia suona alle 4.30. È ancora buio quando Paolo Faragò esce di casa e si dirige verso il suo terreno. Una routine che si ripete ogni giorno, lontana anni luce da quella vissuta per oltre due decenni sui campi da calcio, ma che oggi gli restituisce serenità e un senso di appartenenza profondo. L’ex difensore del Cagliari, costretto a lasciare il calcio professionistico a soli 30 anni, ha trovato una nuova vita tra le vigne, gli ulivi e il lavoro della terra.

L'addio al calcio giocato

La sua giornata inizia sempre presto: “Ho un terreno di 14 ettari. Con la mia azienda produco vino locale, dal Vermentino al Bovale. Negli ultimi anni ho piantato oltre 1400 alberi, di cui 750 ulivi”, racconta Faragò a La Gazzetta dello Sport, spiegando come il suo presente sia ormai fatto di coltivazioni, potature e raccolti, di sveglie all’alba e di lunghe ore sui trattori. Un impegno intenso, fisico, che oggi affronta con entusiasmo, ma che fino a poco tempo fa sarebbe stato impensabile per lui.

 

La svolta è arrivata nell’estate del 2023, dopo l’ultima esperienza al Como. Il suo fisico, logorato da anni di sofferenze, lo ha costretto a dire basta. “Ho subito 14 interventi chirurgici. Prendevo farmaci e antidolorifici in continuazione. Non riuscivo neppure a fare una passeggiata, figuriamoci sostenere gli allenamenti”, spiega. Ogni operazione era seguita da mesi di stampelle, un ciclo continuo di speranza e ricadute. Il dolore quotidiano, la fatica costante nei movimenti più semplici, la dipendenza dagli antidolorifici: tutto faceva capire che il calcio professionistico non era più un sentiero percorribile.

Paolo Faragò con la maglia del Cagliari
Paolo Faragò con la maglia del Cagliari

Le quattordici operazioni

E non è stata solo una questione fisica. Faragò ha sentito il bisogno profondo di allontanarsi da un mondo che, pur regalandogli successi e soddisfazioni, lo aveva svuotato. “Ci sono tante dinamiche che non apprezzo. È un ambiente che ti rende nomade, non metti mai radici, sei sempre lontano dalla famiglia. Volevo restare a Cagliari e gestire in autonomia la mia quotidianità”, racconta. La scelta di restare sull’isola, coltivare la terra e costruire un progetto imprenditoriale stabile rappresenta per lui una sorta di ritorno alle origini.

 

Il suo calvario medico è stato lungo e complesso. Alle prime difficoltà: “Dopo cinque partite, avevo difficoltà anche nei movimenti più semplici”, sono seguite le visite, senza che nessun dottore riuscisse a capire realmente l’origine del problema. “Per 13 volte sono finito sotto i ferri, senza risolvere il problema. I medici non si spiegavano come facessi a giocare”, ricorda. Un chirurgo, paragonandolo alla storia del calabrone che riesce a volare contro ogni logica fisica, gli fece capire quanto la sua resistenza fosse straordinaria.

 

La vera svolta è arrivata solo al quattordicesimo intervento, nel dicembre 2023: l’impianto di una protesi all’anca. Finalmente il dolore ha iniziato a svanire, restituendogli una qualità di vita che sembrava irraggiungibile. “Da quel momento ho cominciato a stare meglio. Ma avevo già deciso di smettere, non ne potevo più”.

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Tags :Serie A

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