"Siamo abituati a vederli in campo, dove vincono e ci fanno sognare. Ma le loro azioni dentro il rettangolo verde sono il risultato di storie uniche, fatte di desideri, passioni e tanto sacrificio". Si chiama "A Tutto Campo", ed è il nuovissimo format condotto da Alessandro Eremiti in cui Chiamarsi Bomber percorre un viaggio dentro le vite di ragazzi che inseguono un sogno trascorrendo con loro un'intera giornata.
Primo protagonista è il centrocampista spagnolo del Parma Adrian Bernabé, il quale ha raccontato la sua vita a tutto campo.
A Tutto Campo con Adrian Bernabé
Bernabé è alle prese con un infortunio muscolare al flessore che ne ha condizionato la prima parte di stagione, ma è ormai prossimo al recupero e tra campo e palestra, esercizi e duro allenamento, ha parlato della sua vita dentro e fuori dal campo.
“El esfuerzo vence al talento cuando el talento no se està esforzando", “Lo sforzo sconfigge il talento quando il talento non ci prova”, questa la frase che campeggia nella bio del profilo Instagram di Bernabé.
"È una frase che tengo da sempre, che vale per tutti: ognuno può avere un talento incredibile in qualsiasi campo, ma se non mette voglia e sacrificio e l'aspetto mentale non può arrivare da nessuna parte. L'ho capito fin da piccolo, me l'hanno inculcato i miei genitori. Poi andando avanti con il tempo, cresci, subisci infortuni ecc, capisci che devi fare uno step in più. La maturità viene con il tempo, ma è una cosa che devi avere dentro da quando sei piccolo".
In questa fase di recupero dall'infortunio c'è tanto lavoro in palestra: la musica crea l'atmosfera giusta...
"In questi giorni che sono da solo in palestra metto musica spagnola, piace anche al preparatore atletico. Mi piace Pablo Alboràn, Dani Martinez, Malù, sono un romantico. Tante volte ascolto anche Drake o Bud Bunny".
Ti ricordi com'è iniziata la tua passione per il calcio?
"Ho cominciato quando avevo 3 anni e mio padre mi ha portato a giocare nella squadra del mio paese, giocavo per divertirmi. Gli anni successivi ho continuato a giocare con gli amici, poi mi ha preso l'Espanyol e ho cominciato a fare cose belle, come andare fuori dalla Spagna per alcuni tornei, mi piaceva molto. I tornei giovanili che facevo quando ero piccolo sono una delle cose più belle che mi sono capitate da quando gioco a calcio: non andavo a scuola, stavo con gli amici a giocare contro grandi squadre e divertirmi, fuori dalla Spagna anche per 5 giorni. Momenti che quando li vivi da piccolo non ti rendi nemmeno conto di quanto sono belli, ed ora ricordo con gioia".
Quando hai capito che il calcio poteva diventare una cosa "seria"?
"Secondo me l'ho capito quando mi sono trasferito al Barcellona, da quel momento ho capito che potevo fare bene, è stato un momento importante della mia carriera. Da lì ho cominciato a lavorare più forte. I primi due anni sono stati di ambientamento, poi dai 14/15 anni è diventata una cosa seria, perché a quell'età lì già cominci a renderti conto che se prendi la strada giusta puoi fare bene. Il Manchester City? È stata una grande occasione perché ho conosciuto un paese nuovo, imparato l'inglese, ho avuto la fortuna di allenarmi con tanti giocatori di livello mondiale e ho avuto uno degli allenatori più forti della storia. Ho imparato tanto ed è stato una tappa della mia vita in cui sono migliorato tanto ed è anche grazie a quei 3 anni che sono il giocatore che sono adesso".
Spagna, Inghilterra, Italia: come cambia il linguaggio di campo e quanto ci hai messo ad adattarti?
"Il linguaggio è sempre la palla, quello che parla è il campo. Ho avuto l'opportunità di condividere tutto questo con tanti giocatori di tante nazionalità. Con chi ho legato di più? Sono una persona molto aperta quindi in ogni spogliatoio in cui sono andato cerco di fare più amicizie possibili, perché poi è quello ciò che ti rimane quando finisci con il calcio. La cosa più bella è che con quelle persone ho ancora un bel rapporto. Sono una persona semplice anche se ho i miei momenti. Mi arrabbio molto".
Enzo Maresca e Pep Guardiola: come li definiresti e cosa ti hanno trasmesso?
"Ho conosciuto prima Guardiola, quando sono arrivato al City era il mio allenatore. ha una mentalità incredibile, vive per il calcio. Ha un'intelligenza calcistica incredibile. L'ultimo anno poi ho avuto la fortuna di essere allenato da Maresca, con la sua Under 23 abbiamo vinto il campionato. Anche lui ha una grande intelligenza calcistica, ha qualcosa in più. È grazie a lui che sono venuto a Parma, mi ha voluto fortemente, poi le cose per lui non sono andate molto bene. Adesso però si vedono le sue qualità col Chelsea, sta facendo molto bene. Sono molto contento per lui".
Cosa ti ha insegnato l'esperienza in Inghilterra a livello calcistico?
"È un calcio molto fisico, molto veloce in cui bisogna sempre migliorare a livello atletico perché vanno a 200 all'ora. Se non arrivi a quel livello ti sovrastano. In ogni posto in cui sono andato ho cercato di migliorare su tutti i livelli, cercando di essere come una spugna. Mi piace ascoltare ed osservare gli altri giocatori per cercare di imparare da loro".
Passavi molto tempo a guardare video dei giocatori più forti nel tuo ruolo?
"A me piace guardare le partite, quando ero piccolo ne guardavo 5 o 6 ogni weekend e osservavo i giocatori nel mio ruolo per cercare di imparare. A chi mi ispiro? Ce ne sono tanti, ti dico Mesut Ozil, mi piaceva tanto sia all'Arsenal che al Real Madrid; poi Iniesta, è stato un giocatore incredibile; quando poi ho condiviso campo e spogliatoio con David Silva...era un giocatore che quando lo vedevi da fuori non ti rendevi conto della qualità che aveva".
L'esordio con il City
"Ero nervosissimo, c'era un freddo incredibile. Ero convocato ma non sapevo che avrei esordito, avevo da poco compiuto 17 anni. Mi sembra in quella partita Foden fece il suo primo gol con il club. Ad un certo punto Guardiola mi ha chiamato per entrare e ho solo cercato di fare il mio meglio. Ho realizzato un sogno, anche la mia famiglia era molto orgogliosa di me".
A proposito di Foden, che compagno è stato?
"Una persona incredibile, quando sono arrivato lui era giovanissimo e giocava molto poco. Era il migliore ad allenarsi, si impegnava tanto. Ha avuto la pazienza giusta, ha aspettato il suo momento e adesso è uno dei migliori al mondo nel suo ruolo".
Che avventura è stata Parma?
"L'arrivo in Italia è stato difficile, ma anche molto bello. Mi ricordo l'estate, avevo molta voglia di venire in Italia, fin da piccolo ho sempre guardato il calcio italiano, mi piaceva tanto, e arrivare in una squadra come il Parma era una bella sfida per me. Quando sono arrivato i primi giorni non sono andati come speravo, ma ora sono molto contento di essere qui, è simile alla Spagna come qualità di vita e abitudini. Dai giorni difficili si impara ad essere più forti, devono esserci anche quei giorni, bisogna accettare con la giusta mentalità le cose che ti succedono".
Quel messaggio di Buffon che tu non hai visto...
"Io ero in ospedale dopo l'intervento (appena arrivato al Parma, Adrian è stato fermo sei mesi per un piccolo intervento al cuore ndr) e per qualche giorno sono stato senza cellulare. Quando mia madre me l'ha ridato avevo ricevuto così tanti messaggi che non ce l'ho fatta a rispondere a tutti. Avevo questo messaggio di un numero italiano, ma non aveva nemmeno la foto del profilo, non lo conoscevo e non ho risposto. Diceva 'Ti aspettiamo qua a Parma'. Dopo tanto tempo poi ho rivisto questo messaggio, ho aggiunto il contatto mettendo una X e ho visto la foto di Buffon e ho pensato 'Cazzo, mi aveva mandato un messaggio e non me n'ero nemmeno reso conto'. Lui assieme a Casillas secondo me è stato il miglior portiere della storia. Tanti mi chiedono com'era Gigi, e io non so come rispondere perché è una persona normalissima, molto semplice, molto gentile. Una persona top. La cosa che stupiva tutti era che lui aveva 45 anni e si allenava più forte di tutti, era un esempio per tutti noi".
5 febbraio 2022, l'esordio con il Parma
"Mi pare sia stato contro il Benevento, ho giocato due minuti. È stato un momento molto bello, più per la mia famiglia che per me perché mi erano stati molto vicino dopo quel problema che avevo avuto. È stato un momento molto felice perché lì ho capito che potevo continuare a giocare. Ho avuto la fortuna di avere un allenatore come Iachini che mi ha dato la giusta continuità. Il primo gol? A me come giocatore piace molto cercare la giocata definitiva. Per me è stata una giornata speciale perché eravamo messi un po' male in classifica e quel gol ha significato tanto. C'erano anche dei miei amici che venivano a vedermi per la prima volta, quindi è stato un weekend perfetto per me".
Ora sei il numero 10, ma prima indossavi il 16: c'è un motivo particolare?
"È il giorno del compleanno di mia sorella. Ovviamente il numero che più mi piace è il 10, ma anche l'8, ma quando sono arrivato erano già presi quindi sono andato dritto sul 16. Ho un bel rapporto con mia sorella, le voglio molto bene. Anche lei gioca a calcio e voleva prendere il 26 perché è il giorno in cui compio gli anni...".
La giornata si sposta poi a casa di Bernabé, per conoscere meglio l'uomo, oltre che il calciatore.
Com'è Adrian Bernabé fuori dal campo?
"Sono un ragazzo normalissimo, mi piace andare in giro, fare passeggiate, bere un caffè. Mi piace anche giocare alla PlayStation, ascoltare musica. Faccio tutto quello che fa un ragazzo normale fuori dal campo. La città di Parma? Ho un bel rapporto con i tifosi, quindi quando mi incontrano mi salutano e mi dicono cose positive, sono molto grato di questo.
Senti la responsabilità di avere sulle spalle la 10 di una società storica come il Parma?
"La sento in maniera positiva, nel senso che per me è un onore, un sogno. Affronto questa responsabilità cercando di farlo al meglio".
Nell'angolo dei cimeli tante cose interessanti, tra cui spicca un libro di Kobe Bryant
"Me l'ha regalato Edo (Corvi, portiere del Parma ndr), dovevamo fare uno scambio di libri per Natale. Loro sanno che mi piace tanto il basket e per me Kobe Bryant è stato un idolo, una persona da ammirare. Mi sono sempre ispirato a lui e sempre lo farò. Tengo questo libro da 2, 3 anni, per me è molto importante. Lui è stato uno dei migliori giocatori della storia, lo considero un esempio. Questa estate sono andato a Boston a vedere la prima partita delle Finals Nba, è stato bellissimo".
Com'è il rapporto con la tua famiglia?
"Sono andato via da casa molto giovane, avevo 16, 17 anni. Secondo me da quel momento il nostro rapporto è migliorato, loro vengono qua nel weekend per vedermi giocare, poi li chiamo praticamente ogni giorno, quando mangio metto il telefono appoggiato al bicchiere ed in pratica sto insieme a loro. Mi sono abituato a tutto questo, ovviamente vorrei stare insieme a loro tutti i giorni, ma con il mio lavoro è difficile. Capisco chi dice che la vita di un calciatore è semplice, perché si vede solo la superficie, ma dietro il calciatore c'è una persona, problemi, sacrifici, difficoltà. Siamo privilegiati, sono fortunato".
Il giorno della promozione con il Parma e un post Instagram emblematico
"Ho messo quella foto perché per me è stato forse il giorno più bello della mia carriera, o forse il secondo. È stato un sogno, erano due anni che lavoravamo con tanta pressione. C'era tutta la famiglia con me, è stato un giorno speciale, Piazza Garibaldi era piena... una giornata che non dimenticherò mai".
A casa Bernabé una grande collezione di maglie
"Ho scambiato la maglia con Kvara, insieme a Reijnders e Leao è uno dei più forti; poi ho la maglia di Fagioli che conoscevo dai tempi di Cremona; ho quella di Nico Paz, un giocatore con un futuro incredibile, lo conoscevo già quando giocava con il Real Madrid; l'anno scorso ho scambiato la maglia con Claudio Gomes che giocava con me nell'Under 23 del Manchester City, ho un buon rapporto con lui e mi ha fatto piacere; poi ho una maglia molto importante, una delle prime che ho scambiato due anni fa in Coppa Italia, l'ultima partita che ha fatto Ribery da giocatore con la Salernitana; un membro dello staff del Parma poi poco tempo fa mi ha dato la maglia di quando giocavo con l'Espanyol, non la vedevo da 15 anni; infine ho la mia maglia della Spagna che ho usato alle Olimpiadi".
Proprio sulle Olimpiadi: minuto 100, assist per Camello...
"Appena ho fatto l'assist e abbiamo fatto gol ho cominciato a piangere, per me era un sogno, non ci credevo. È stato un mese e mezzo bellissimo. Il mercoledì ho vinto l'oro e il sabato stavo facendo l'esordio in Serie A contro la Fiorentina, è stata una settimana con tante emozioni. Un calciatore vive per questi momenti. Il post con l'oro in bocca? Non mi sono goduto tanto la vittoria perché ero troppo emozionato, mi viene ancora da piangere".
Che rapporto hai con i social?
"I social per me sono un mezzo importante per noi calciatori, soprattutto per il mondo in cui viviamo adesso. Se ne deve però fare un uso nella forma giusta, così facendo puoi trovare persone belle, persone carine che ti aiutano; se si usano in una maniera sbagliata può essere molto pericoloso".
Qual è il tuo sogno?
"Vincere i campionati più importanti, ma questa è una cosa che qualsiasi giocatore ti direbbe... Mi piacerebbe giocare una partita di Champions da titolare, ascoltare l'inno della Champions con i miei compagni e vedere la mia famiglia in tribuna che sta lì a guardarmi. Ovviamente mi piacerebbe vincere la coppa e anche il mondiale, ma se devo pensare più a corto raggio direi questo".
Che consiglio daresti ad un bambino che sogna di diventare un calciatore?
"La cosa che gli direi è di essere sempre felice, di farsi tanti amici e giocare a calcio sempre con il sorriso sulla faccia. Poi, diventando professionisti direi di curare tutti i dettagli perché nel calcio di oggi è fondamentale. All'inizio dunque divertirsi, essere rispettosi e umili. Più che per i bambini il messaggio è per le famiglie e per gli allenatori: il consiglio è lasciarli giocare, essere felici, non mettergli troppe cose in testa finché sono piccoli. I ragazzi devono giocare in strada, è lì dove si formano i giocatori forti. Gli allenatori devono insegnare i valori, poi dopo si vedrà... Umiltà".
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