Abbiamo avuto il piacere di intervistare in esclusiva Marco Marchionni, oggi allenatore del Ravenna. Grande ex giocatore fra le altre di Parma, Juventus e Fiorentina, Marchionni ora veste i panni del tecnico ed allena in Serie D. Queste le parole del mister sulla stagione, sul suo passato e sui suoi progetti futuri.
Mister, questa a Ravenna è la tua terza esperienza in panchina dopo Novara e Potenza: è difficile passare dal campo alla panchina?
“In realtà prima c’è stata anche Foggia, che è stata la più importante perché per la prima volta mi ha permesso di essere primo allenatore. Il passaggio dal campo alla panchina chiaramente è difficile, soprattutto quando ero a Carrara come secondo di Baldini. Lì avevo appena smesso di giocare e quando le cose andavano male c’era forte lo stimolo di andare ad aiutare i ragazzi in mezzo al campo. Però sinceramente non mi manca giocare, ora penso che anche essere da quest’altra parte possa regalarti delle soddisfazioni”.
Il Ravenna terminerà la stagione al 2^ posto in classifica con uno sguardo alla Serie C. Come si preparano ora i Playoff?
“Con tranquillità e serenità, ma anche con la consapevolezza che si tratta di una partita fondamentale. C’è rammarico perché non siamo riusciti ad arrivare primi e secondo me si poteva fare meglio, anche se magari i primi 2 mesi sono stati sbagliati. Preparare questa gara però deve essere la normalità per il Ravenna, come se fosse una partita normale: credo che il Ravenna debba pensare a vincere tutte le partite. Non ci sono particolarità, bisogna solo saper gestire quelle emozioni e quell’adrenalina che poi in campo fanno la differenza. Queste sono partite che si preparano più a livello mentale che fisico, anche perché a maggio le energie fisiche che rimangono sono poche: dobbiamo esser bravi a migliorare mentalmente in tutte le situazioni in cui non siamo stati all’altezza. Dobbiamo darci una possibilità di essere ripescati”.
A Ravenna c’è qualche giovane pronto per fare il salto di categoria?
“A Ravenna i giovani devono essere già pronti, perché qui c’è una pressione e un’esigenza che ti porta a voler vincere tutte le partite. Quindi i nostri ragazzi devono già essere pronti. Poi se un giovane è bravo alla fine gioca, perché a 20 anni oggi devi già essere un giocatore vero altrimenti rischi di esser messo da parte. Sicuramente qui ci sono giovani interessanti, però per fare il salto di qualità servono anche tante altre caratteristiche che si acquisiscono col tempo allenandosi con giocatori e squadre di categorie più elevate. Quindi i giocatori in prospettiva ci sono, ma devono migliorare”.
Ti ispiri ad un allenatore in particolare? Fra quelli che hai avuto, chi ti ha dato di più dal punto di vista tecnico-tattico e da quello umano?
“Facile: a livello tecnico-tattico, Prandelli è l’allenatore che mi ha insegnato di più. Quando alleno riprendo molte delle cose fatte con lui, perché poi ti permettevano di tirare fuori tutte le tue qualità. Secondo me un allenatore deve essere bravo a dare dei concetti per far stare tranquillo e sicuro di sé il calciatore, ma poi è quest’ultimo che deve sentirsi libero di esprimersi. Prandelli mi ha permesso di tirare fuori la mia fantasia ed individualità.
A livello umano invece, sia Prandelli che Baldini mi hanno aiutato tanto. Baldini l’ho avuto da bambino, è lui che per primo mi ha buttato nella mischia ed ha creduto in me. Mi ha fatto capire l’importanza di portare i valori della vita anche in campo, perché alla fine sono quelli che ti possono aiutare nei momenti difficili”.
Che cosa ne pensi delle seconde squadre in Serie C?
“Sono propositivo. Oggi a 20 anni devi essere già giocatore e le seconde squadre in Serie C permettono agli under 23 di misurarsi anche con giocatori più esperti ed importanti. Nelle Primavere, coi pari età, se uno è più bravo si vede subito, però è proprio contro avversari più grandi che hanno fatto della categoria che si vede se sei un giocatore vero. Quindi nella misura giusta, sicuramente sono a favore delle seconde squadre in Serie C”.
Le squadre in cui hai militato più a lungo sono Parma, Fiorentina e Juventus. A quale di queste sei più legato?
"A livello umano, Parma mi ha cresciuto. Ci sono arrivato a 21 anni, venivo da Empoli e mi hanno accolto come un figlio. Il Parma mi ha dato la possibilità di giocare nella massima serie e di questo sono grato. Sono stato benissimo anche a Firenze perché nell'anno della Champions si era creata una magia incredibile che ci ha permesso di fare cose straordinarie. Firenze mi ha dato veramente tanto, soprattutto il primo anno. Alla Fiorentina ho fatto il calcio vero".
Restando su queste 3 squadre, quale sta facendo la stagione migliore quest'anno?
"La Juve si sta giocando la Champions, ma è normale che non basti: alla Juve ci si deve giocare lo scudetto. Con tutte le difficoltà che hanno avuto quest'anno però, credo che non sia tutto da buttare.
La Fiorentina invece ha fatto tanto, un'ottima annata anche se a Firenze c'è un'esigenza di vincere incredibile: Palladino ha fatto un ottimo lavoro ma ai fiorentini sicuramente non basta, perché loro sono passionali e pretendono sempre qualcosa in più.
Infine il Parma è stato un peccato, perché anche se sono appena saliti, hanno speso molto in questi anni e non sono riusciti a creare quello che volevano. Pecchia ha fatto un ottimo lavoro ma non sempre è riuscito a portare a casa il risultato; in queste situazioni poi l'allenatore paga per tutti, ma la colpa non è solo sua. Se il Parma avesse portato a casa il risultato ogni volta che è andato in vantaggio, avrebbe un'altra classifica. Almeno ora si è tolto dalla zona pericolosa".
Hai qualche rimpianto nella tua carriera?
"Ora sì. Potevo fare molto di più. Credo di essermi tolto tutte le soddisfazioni: ho esordito a Roma, nella mia città, davanti ai miei familiari. Ho giocato in Serie A per tanti anni, ho fatto la Champions League e ho avuto la fortuna di arrivare in Nazionale. A quei tempi, arrivare a fare tutto questo era difficile. Se ci ripenso mi emoziono. Oggi basta poco per arrivare al massimo, allora invece dovevi fare diversi anni a grandi livelli per avere anche solo l'opportunità di starci. Ho avuto la possibilità di giocare nel periodo più bello del calcio italiano: ovunque andavi potevi perdere, quindi serviva la consapevolezza di voler far meglio della settimana prima perché affrontavi giocatori forti".
Sei arrivato alla Juve nella stagione 2006/07 in Serie B. Che annata è stata e che atmosfera c'era dopo Calciopoli?
"Io avevo firmato a gennaio per una squadra che faceva 70 partite l'anno, ne perdeva 3 in una stagione, si giocava la vittoria della Champions, la vittoria del campionato e la vittoria della Coppa Italia. Poi a marzo mi sono ritrovato con quello che è successo, con la Juve retrocessa in B. Avevo quindi due opzioni: rescindere il contratto prima di cominciare o continuare nel percorso scelto. Alla fine però la Juve è la Juve a prescindere dalla categoria, e sapevo che riportarla dove merita sarebbe stata comunque una cosa importante. Quindi parlai col mio procuratore e decisi di andare alla Juve.
Oltretutto la stagione cominciò con un -17 all'inizio. Pareggiammo l'esordio a Rimini, poi man mano che vincevamo le partite rimanevamo comunque sotto lo 0 punti. Una situazione strana, però alla fine è andato tutto come doveva andare. Riportare la Juve in Serie A è stato soddisfacente. Se do la mia parola poi la mantengo".
Com'è stato condividere lo spogliatoio con campioni del calibro di Del Piero, Trezeguet, Buffon, Camoranesi, Nedved, che hanno deciso di continuare in Serie B?
"La loro scelta è stata ancora più pesante perché parliamo di campioni assoluti che si sono ritrovati in Serie B, ma la loro scelta ha trascinato gli altri. Con loro lo spogliatoio è stato facile da gestire. Imparare da loro era un motivo in più per aiutarli ad uscire da questa situazione. Poi chiaramente loro hanno fatto la differenza, perché se ricordo bene Del Piero e Trezeguet sono stati capocannonieri del campionato. Loro con umiltà hanno capito, hanno scelto e quando giocavano era come se fosse la Champions. Volevano sempre determinare e vincere. Stare in quello spogliatoio è stato facile: lì ho acquisito delle cose che poi mi sono servite a livello mentale".
Alla Juve hai avuto Ranieri come allenatore. Cosa ne pensi della sua decisione di riprendere la Roma in corsa e poi di lasciare il calcio?
"Quando Ranieri arriva alla Roma fa sempre miracoli. Pochi allenatori sono riusciti a fare quello che ha fatto lui. Rimarrà nella storia quello che ha fatto in Inghilterra, ma anche a Cagliari e alla stessa Juve. Riesce a dare equilibrio, serenità e consapevolezza che con lui le cose vanno nel modo giusto. Ranieri è un allenatore che pretende ma non ti stressa troppo, ti lascia quella tranquillità di poter tirare fuori tutte le tue qualità. Io ho un bel ricordo di lui. Al primo anno alla Juve arrivammo terzi con lui e ci qualificammo per la Champions, al secondo anno invece arrivammo secondi. Poi se ne andò per problemi con la società e fu un peccato. Addio al calcio? Se ha scelto così, credo non ci sia momento migliore. Fare quello che sta facendo a Roma, nella sua città, sarebbe la ciliegina sulla torta riuscire a qualificarsi in Champions: sarebbe il completamento perfetto di una stagione che solo lui poteva gestire in questo modo".
6 presenze in Nazionale con Trapattoni, Donadoni e Lippi. Che emozione è stata? Hai rimpianti?
"Lippi mi portò nei 27 che dovevano preparare il Mondiale del 2006 a Coverciano. Mi aveva detto che sarei andato come riserva, ma io accettai subito, ovviamente, anche perché prima avevo avuto un infortunio ed ero riuscito a conquistarmi la sua fiducia in poco tempo. Poi al momento di scegliere sono rimasto a casa, però non ho rimpianti: non sarebbe stato bello andare al Mondiale a causa di un problema di un compagno. Sono stato molto contento di quel mini-ritiro perché si percepiva la voglia di stare insieme, di allenarsi, di stupire e di fare qualcosa di importante. Alla fine sei la Nazionale Italiana: come la Juve, devi vincere sempre.
In generale però so che potevo fare molto di più nel mio percorso in Nazionale. Posso però esser contento di aver vestito la maglia della Nazionale quando c'erano giocatori importanti. Per dire nel 2004 con Trapattoni esordì con me anche Cassano. Mi è dispiaciuto non esserci arrivato con Prandelli, il mio allenatore preferito: lì però forse ero già un po' più vecchietto".
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