Ci sono tre tipi di giocatori che amiamo follemente: i campioni, quelli scarsi ma simpatici e quelli che sprecano il proprio talento.
Un esempio su tutti, tanto per spararla grossa, è George Best, uno che sarebbe potuto diventare il miglior giocatore di tutti i tempi (e lo è stato per soli due anni), ma che non avremmo amato così – come nessun altro – e se non si fosse lasciato andare a tutti quei vizi che gli hanno impedito di diventare il migliore.
Ci sono giocatori destinati a conservare il talento e giocatori che sanno come buttarlo. Ed è molto più facile innamorarsi dei secondi, soprattutto quando quel talento lo vedi fiorire per un arco limitato di tempo e poi aspetti invano di rivederlo.
Uno di questi è David Suazo, la Pantera Nera che abbiamo ammirato nel fior fiore dei suoi anni a Cagliari. È chiaro che lui forse non avrebbe mai avuto le possibilità di arrivare ai livelli a cui avrebbe potuto ambire Best, ma nel suo piccolo è uno di quei giocatori di cui siamo innamorati perché per anni lo abbiamo visto devastare le difese avversarie con la sua imbarazzante velocità (viaggiava a 37 km/h palla al piede, mostruoso!) e sul più bello lo abbiamo visto lentamente sfiorire. Lo hanno ingannato le grandi platee e gli infortuni.
PRIMA DI FALLIRE – Se qualcuno avesse detto a Suazo che avrebbe vissuto un’estate conteso da Inter e Milan otto anni dopo il suo arrivo in Italia non ci avrebbe creduto. Non ci avrebbe creduto perché Suazo non credeva di rimanere in Italia per molto. Adocchiato da Tabarez al Mondiale Under 20 in Nigeria nel 1999, il Cagliari lo ingaggia e piano piano prova a farlo sentire parte del progetto. Il primo anno gioca poco, ma a maggio segna per la prima volta in A (“un’emozione indescrivibile, credo di non aver ma provato una cosa così grande”, dirà tanti anni dopo) un gol carico di amarezza per l’imminente retrocessione dei sardi. Suazo resta, perché ha altri quattro anni di contratto e la cosa gli fa credere che saranno gli unici che farà prima di essere rispedito in Honduras. Invece Suazo in Honduras non ci torna. In campo corre, corre più veloce degli altri. Corre troppo più veloce degli altri. Ripartire dalla B lo aiuta a giocare di più, a prendere confidenza con il gol e caricare le batterie per la risalita: tre anni dopo il Cagliari ritorna in A e lo fa grazie a 19 gol del giocatore che di lì in avanti farà innamorare tutta Italia. Suazo non paga il salto di categoria, anzi: segna ancora di più. Ne fa 22 e supera la bandiera Riva nel numero di gol in una sola stagione e si mette subito alle sue spalle nella classifica di gradimento del suo pubblico. Suazo è un centravanti atipico, perché solitamente quelli con una velocità così giocano sulla fascia; lui invece è uno che ha bisogno di strappare la partita. Non ha la corsa di quello che sale e scende la fascia per novanta minuti, ma la capacità di scattare quando serve per segnare. Perché se è vero che spesso quelli veloci inquadrano poco la porta (vedi il suo connazionale, Edgar Alvarez), lui la porta la vede sin troppo bene e alla fine della sua esperienza sarda si porta a casa poco più di 100 reti.
FALLIMENTO PARTE 1, LE GRANDI PLATEE – Arriva l’estate del 2007 e le due squadre di Milano se lo contendono, perché Suazo è diventato uno di quei giocatori destinati a vincere tanto nella vita. Tutto fa pensare che possa diventare tra i giocatori più forti del mondo e in fondo per un momento ci abbiamo creduto anche noi. Gli serviva solo una grande squadra. E insieme alla grande squadra arriva un caso di mercato paradossale. Suazo ha un accordo con l’Inter e va a fare le visite mediche ad Appiano. Poche ore dopo il Milan rilascia un comunicato ufficiale in cui annuncia il suo arrivo, dopo aver pagato la clausola di 14 milioni (altri tempi: immaginate oggi quanto sarebbe valsa la clausola di Suazo) a Cellino. Moratti è infuriato e Suazo chiama in lacrime il suo presidente perché ha un impegno con l’Inter e vuole la Pinetina a tutti i costi. Il contro dietro-front è fatto e Suazo va all’Inter a fare coppia d’attacco con Ibrahimovic. Uno un tantino ingombrante per lui. I due insieme non funzionano e l’honduregno si eclissa lentamente in panchina dopo le prime sconfitte. Suazo non sembra sapere dove mettere la sua velocità ed è il momento in cui inizia una parabola irrimediabilmente discendente. Questa volta non è al centro del progetto e fatica ad uscire dalla crisi. L’anno dopo arriva Mourinho, che non lo vede neanche per sbaglio e lo spedisce in Portogallo al Benfica. L’Inter non è per lui: il peso della grande piazza si attacca ai suoi piedi e non gli permette più di correre veloce.
FALLIMENTO PARTE 2, GLI INFORTUNI – Va detto anche che da un certo momento la fortuna ha completamente smesso di assistere David Suazo. A posteriori la tanto desiderata Inter non è stata scelta saggia e nel frattempo anche il suo corpo ha iniziato a lamentarsi. Al Benfica gioca appena dieci partite, perché gli acciacchi lo colpiscono ripetutamente e non gli permettono di avere tanto spazio. Siamo alla seconda stagione consecutiva gettata, quando torna all’Inter e inizia la terza annata nerazzurra: in panchina ancora Mourinho. Non lo considera mai e dopo aver giocato uno spezzone di partita per ogni competizione (una presenza in Champions, una in Tim Cup e una in campionato) se ne va in prestito al Genoa nella parte di stagione in cui i suoi ex compagni interisti gli lasceranno il rammarico di non essere stato nella rosa del Triplete a festeggiare tutti quei trofei. A Marassi torna a giocare con continuità, ma segna col contagocce. Suazo ha perso lo scatto, ha perso la verve e ha perso oramai così tanti anni (la stagione successiva un infortunio lo tiene ai margini dell’Inter per tutta la stagione senza giocare neanche un minuto) che non sembra più in grado di rimettersi in sesto.
CHE FINE HA FATTO SUAZO ORA? – Qualche anno dopo, nel 2012 per esattezza, David Suazo annuncia in lacrime il precoce addio al calcio. Il ginocchio non risponde più e a 32 anni il suo corpo non è più in grado di sostenerlo sul rettangolo verde. Di Suazo restano anni indimenticabili con la maglia del Cagliari e anni di rimpianti all’Inter, dove ci si aspettava il salto di qualità che un giorno gli avrebbe potuto far vincere la Champions. Invece la Champions l’hanno vinta i suoi compagni, in una rosa in cui ci aspettavamo di vederlo qualche anno prima. La parabola di Suazo è rimasta incompiuta ed è forse il motivo per cui lo abbiamo amato. Perché quel talento lo abbiamo ammirato con i nostri occhi e lo abbiamo visto svanire nel tempo senza nessuna speranza di recuperarlo. Lo hanno ingannato le grandi platee e gli infortuni.
Ed è il motivo per cui è tornato nella sua seconda casa, Cagliari, dove oramai ha piantato le radici, costruito la sua famiglia e ricominciato sui campi da calcio. Da due anni ha la divisa del Cagliari sul petto e allena gli Under-17. Chissà che non sia in grado di trovare uno veloce tanto quanto lui come aveva fatto Tabarez.
Con la collaborazione di Marco Fornaro