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11 anni dopo Hernanes rivela: "Ecco perché lasciai la Lazio!". Poi ricorda lo scudetto con la Juve: "Il discorso di Buffon ci cambiò la stagione"

Dai primi passi in Brasile fino all'esperienza in Cina, passando per Lazio, Inter e Juventus: di questo e non solo ha parlato, il "profeta" Hernanes, nell'intervista rilasciata in esclusiva a Chiamarsi Bomber
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Uno scudetto, due Coppe Italia, due campionati brasiliani, un campionato paulista, un Bronzo Olimpico e una Confederations Cup: questo il palmares di Hernanes, che, in Italia, ha collezionato 243 presenze con le maglie di Lazio, Inter e Juventus. Il "profeta" si è raccontato in esclusiva alla redazione di Chiamarsi Bomber.

Ciao Hernanes, partiamo dalle origini. Sei cresciuto calcisticamente nelle giovanili del San Paolo: com'è giocare in uno dei club brasiliani più importanti della storia e qual è la differenza tra il calcio brasiliano e quello italiano?

"Giocare nel San Paolo è un sogno che in pochi riescono a realizzare. Sono orgoglioso di aver indossato quella maglia e di aver vinto trofei importanti. Quando sono arrivato lì avevo 16 anni e poi sono entrato in prima squadra, negli anni d'oro del club. Rispetto al calcio italiano, in Brasile si pensa di più ad attaccare, ci sono pochi ragionamenti e tanto istinto. In Brasile si gioca a calcio fin da bambini e ai miei tempi si cercava di sviluppare fin da subito la tecnica. In Italia, invece, si una molto di più la ragione: si pensa prima alla difesa e poi alla manovra offensiva".

Nel 2008 hai vinto la medaglia di Bronzo alle Olimpiadi di Pechino. In quel Brasile hai giocato con Ronaldinho: ci racconti un aneddoto che lo riguarda?

"Nella prima partita delle Olimpiadi ho segnato il gol della vittoria contro il Belgio e Ronaldinho è venuto ad abbracciarmi. Quel momento è stato l'apoteosi della mia carriera: lui rappresenta l'essenza del calcio giocato con tecnica, allegria e spensieratezza. Ricordo che era impossibile viaggiare con lui: una volta, quando siamo arrivati in Vietnam, c'era tantissima gente che lo aspettava e noi cercavamo di garantire la sua sicurezza per evitare che venisse preso d'assalto".

Nel 2010 il passaggio alla Lazio: com'è nata la trattativa e com'è stato il tuo primo approccio con Roma e con l'ambiente biancoceleste?

"Tare è venuto in Brasile per intavolare la trattativa e quello fu il mio primo contatto con la Lazio. Fin da subito c'è stata intesa tra noi e, quando sono arrivato a Roma, mi sono sentito a casa. L'approccio è stato molto positivo, credevo che non mi conoscesse nessuno ma, fin dall'inizio, sono stato accolto con grande calore dai tifosi. La gente mi salutava per le strade chiamandomi "Profeta" e mi sono sentito subito parte di quell'ambiente".

La figura di Claudio Lotito: ci racconti qualche aneddoto su di lui?

"Lotito è una persona molto intelligente. Sembra che viva un po' nel suo mondo ma in lui ho trovato sincerità, saggezza, capacità imprenditoriale e competenza calcistica. È un personaggio molto particolare, è divertente e mi faceva sempre ridere. Lo adoro".

A Roma sei stato molto amato, soprattutto per quel 26 maggio 2013: derby vinto in finale di Coppa Italia. Ci racconti le emozioni di quel giorno e come hai vissuto quella partita?

"Ho vissuto quella partita con molta tensione: c'era la paura di perdere ma sapevo che se avessimo vinto saremmo entrati nella storia e nel cuore dei tifosi. La settimana prima ci siamo allenati a Norcia, lontani da tutti, e questo ha rafforzato la concentrazione e l'adrenalina in vista del match. La vittoria della Coppa Italia nel derby è stata una gioia incredibile e, ancora oggi, i tifosi ricordano quel momento e ci ringraziano a distanza di dodici anni: è stato un momento storico".

A gennaio 2014 sei passato all'Inter lasciando Formello in lacrime. Perché hai accettato la proposta dei nerazzurri?

"A Roma sono stato benissimo, mi sono sempre sentito a casa e il cuore non voleva lasciare la Lazio. La testa, però, mi diceva che era il momento di provare altre esperienze. Ero molto combattuto, ma avevo degli obiettivi in testa e ho accettato quella proposta per mettermi in gioco e provare a raggiungerli".

Nell'estate 2015 l'approdo alla Juve, dove hai vinto scudetto e Coppa Italia. Che stagione è stata per te?

"All'inizio alla Juve le cose non andavano bene, la stagione non era iniziata nel migliore dei modi e non è stato facile. Ricordo che un giorno ci fu una riunione in cui Buffon, il capitano, prese la parola facendo un discorso importante a tutta la squadra. Quella fu la svolta, da lì è partita una grande rimonta. La squadra era fortissima e, una volta trovato il giusto ritmo, abbiamo iniziato a vincere tante partite. Alla fine, dopo una stagione di alti e bassi, siamo riusciti a vincere lo scudetto, il primo della mia carriera".

La BBC (Bonucci, Barzagli, Chiellini) era davvero così insuperabile?

"Era un meccanismo perfetto non solo in fase difensiva, da loro partiva anche l'impostazione e insieme si completavano a vicenda. Bonucci aveva una grandissima visione di gioco e un piede favoloso, una sorta di numero 10 che giocava in difesa. Barzagli era un giocatore di grande sostanza, forte di testa e in marcatura ma anche nell'aiutare la squadra nella manovra offensiva. Chiellini mi ha impressionato tantissimo, è il calciatore più costante con cui abbia mai giocato. Non sbagliava una partita, anche quando le cose non funzionavano lui lottava su ogni pallone e non mollava mai. Poi in porta c'era Buffon, era un blocco difensivo quasi imbattibile".

In quella Juve giocavano attaccanti del calibro di Mandzukic, Higuain e Dybala: chi era il più forte dei tre?

"É difficile fare un paragone: da brasiliano mi piace molto la tecnica e, in quegli anni, Dybala era un giocatore straordinario. Aveva la capacità di passare la palla e di calciare sempre con i giri giusti. Higuain aveva un senso del gol incredibile: sentiva la porta come pochi ed era capace di segnare in tutti i modi. Manduzkic, un po' come Lotito, racchiudeva in sé tantissime attitudini: non ho mai visto un attaccante fare quello che faceva lui. Per certi versi sembrava un difensore che giocava in attacco, marcava gli avversari e correva tantissimo per il campo. Non si fermava mai e non era mai stanco: aiutava la squadra sotto ogni aspetto e riusciva anche a essere decisivo in zona gol".

Secondo te c'è un Hernanes nel calcio di oggi?

"Io ero un giocatore particolare, ero uno dei più lenti in assoluto anche se magari non sembrava. Nel calcio di oggi, se non hai il passo e il giusto dinamismo fai fatica. Oggi diventa difficile trovare giocatori con le mie caratteristiche: lenti, poco fisici e con buona tecnica. Nel calcio moderno non ci sarebbe spazio per un Hernanes".

Nel 2017, a quasi 32 anni, hai lasciato il grande calcio per trasferirti in Cina: ti sei mai pentito di quella scelta?

"Non mi sono pentito di quella decisione: nella prima parte di stagione giocavo poco alla Juve e spesso non rientravo nelle gerarchie di Allegri. Così, quando è arrivata la proposta dalla Cina, con un'offerta economica importante, ho deciso di accettare considerato che avevo già raggiunto gli obiettivi che mi ero prefissato. Il mio procuratore era cinese e aveva già provato a portarmi lì nel 2008, ma, in quella circostanza, rifiutai perché volevo fare un percorso diverso. Nel 2017, però, ho pensato che potesse essere il momento giusto per provare una nuova esperienza. In Cina il calcio era diverso, da quel punto di vista non mi ha arricchito particolarmente e nemmeno io sono riuscito a dare un grande contributo. In ogni caso, però, è stata una bella esperienza di vita".

Un commento sulla stagione di Lazio, Inter e Juve

"Inizialmente la Lazio ha sorpreso tutti e sembrava che potesse fare qualcosa di inaspettato. Poi gradualmente la squadra è calata alla luce di una stagione lunga e impegnativa, ma in questo finale di stagione è ancora in corsa per la Champions League. Magari c'è un po' di rammarico, perché all'inizio c'era la percezione che potesse fare qualcosa in più, ma sicuramente la stagione è stata positiva.

 

La Juve doveva ripartire e ha provato a cambiare qualcosa, anche nello stile di gioco. Per riuscirci, però, servono tempo e giocatori di altissimo livello. La stagione è stata molto altalenante e probabilmente sono state sbagliate le tempistiche. Dopo la vittoria contro l'Inter sembrava potesse esserci una svolta, sia in campionato che in Europa, ma poi sono arrivate la sconfitta contro il PSV e altri passi falsi. Si sapeva che sarebbe stata una stagione complessa perché ripartire dopo una rivoluzione non è mai facile, ma adesso anche loro sono in piena corsa per un posto in Champions e lotteranno fino alla fine.

 

L'Inter è una squadra matura e con molta qualità: tutto ciò, unito alla magia del calcio, credo che faccia in modo che questo possa essere il momento dell'Inter".

Prima di McTominay, tu eri stato l'ultimo centrocampista centrale a segnare almeno 10 gol nella prima stagione in Serie A (11 reti nella stagione 2010-11). Cosa pensi del centrocampista scozzese?

"Mi piace molto come giocatore, nel calcio di oggi è imprescindibile. Sente molto la porta, ha i tempi giusti e un'ottima capacità di inserimento: è quasi un attaccante che gioca in centrocampo. È alto, forte fisicamente e ha buoni colpi sotto l'aspetto tecnico. Inoltre è perfetto nel centrocampo del Napoli: lui, Lobotka e Zambo Anguissa si amalgamano alla perfezione e si completano a vicenda".

 

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